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Sabatini: quando uccisero l'Uomo Ragno

Sabatini: quando uccisero l'Uomo Ragno

Sky e social ricordano come eravamo nel 1992, l'anno di Tangentopoli. Il debutto televisivo della serie tv avviene nello stesso giorno in cui si chiude (giuridicamente) Calciopoli. E non significa nulla ma - lo scrivo per i giovani - fino a ventitré anni fa, con la stessa rima, si parlava e si giocava solo a Monopoli.

Non c'era internet. Il mestiere del giornalista si faceva sul campo, con il bloc notes e la penna biro. Ricordi. Frammenti. Storie.

Nell'autunno di quel 1992, Arrigo Sacchi diventò ct della nazionale: stage, pressing e allenamenti top secret (a parte gli oriundi, sembra l'attualità di Conte). Alla prima convocazione azzurra, promosso Pagliuca e fuori Zenga: decisione traumatica per il portiere che veniva considerato come Neuer oggi, il migliore al mondo. Ci restò malissimo. Aveva voglia di far polemica, di attaccare il nuovo ct, di sfogarsi. Si presentò ad Appiano Gentile con Ray Ban scurissimi e ciuffo al vento, su macchina cabrio (se non ricordo male una Mercedes Pagoda, come Richard Gere in American Gigolò). Frenata, parcheggio, i giornalisti si avvicinano. "Walter, vuoi dire qualcosa sulla mancata convocazione in nazionale?". Zenga sorrise un po', senza guardare nessuno. Con gesti studiati e controllati, si limitò ad alzare a mille il volume dell'autoradio nel punto giusto del ritornello: "Hanno ucciso l'Uomo Ragno, chi sia stato non si sa / Forse quelli della mala, forse la pubblicità". Stop. Spense. Ciao a tutti, no comment. La portiera sbattuta e via nello spogliatoio. Geniale: aveva detto tutto, senza aprire bocca.

Il più bravo a notare quel piccolo momento storico fu Furio Fedele, cronista smaliziato che ventitré anni (e probabilmente pure ventitré kg fa) suggerì al Corriere dello Sport di impostare la pagina solo sull'Uomo Ragno "ucciso" da Sacchi. Così nacque proprio quel giorno, uno dei più brutti della sua carriera, il soprannome "Uomo Ragno" che accompagna ancora Zenga, anche se di quel l'episodio non esiste un'immagine tv, nè un tweet o una condivisione su Facebook.

Nello staff azzurro di quell'anno era entrato Carlo Ancelotti, che alla fine del campionato 1991/92 si era tolto lo sfizio di segnare la prima doppietta della carriera proprio nell'ultima partita giocata. Al termine di quel Milan-Verona 4-0, andai ad intervistare Ancelotti a casa sua. Lavoravo a Tuttosport, avevo promesso un'esclusiva, avevo un ottimo rapporto con "Carletto", come si ostinano a chiamarlo ancora adesso che ha quasi 60 anni. Centrocampista già riconosciuto come allenatore in campo, nell'intervista ufficiale parlò solo con diplomazia. Poi si chiuse il taccuino e - ormai posso raccontarlo - si confidò. Era deluso da Capello che non aveva appoggiato un anno in più di contratto. Era amareggiatissimo e tristissimo, anche se consapevole dei superlativi malanni alle ginocchia che gli consentivano appena di passeggiare, certo non di lottare in mezzo al campo. Mi servì da lezione, per gli anni successivi. Capii che tutti i giocatori, anche quelli più intelligenti (e Ancelotti lo era, lo è ancora) interpretano sempre come uno sgarbo malefico il momento in cui altri - allenatore o società - impongono l'addio alla carriera.

A quel 1992 è poi legato un altro ricordo. Tragico. Un incontro con Raul Gardini che in quei giorni - limitatamente allo sport - era il Re del "Moro di Venezia", l'imbarcazione italiana nell'America's Cup di vela. Mi ricevette nella sua abitazione di Piazzetta Belgioso, a Milano. Passai il tempo dell'intervista ad ammirare quadri, affreschi, poltrone, tendaggi... Distratto. Intimidito. Lui trasmetteva un carisma che mi annientava, giovane giornalista abituato ai semplici botta e risposta dei post partita di calcio.

Scrissi, feci il compitino senza sbavature. Tuttosport richiamò appena in prima pagina quell'intervista, un po' banalotta ma solo per colpa mia. Gardini tornò a San Diego, per altre regate e forse altre interviste più qualificate. Quella però fu l'ultima rilasciata a casa sua. Dove, a distanza di pochi mesi, si suicidò. Era il 1992, era Tangentopoli: la serie e qualcosa di più. Personale.

Sandro Sabatini (giornalista Sky Sport)
Web: sandrosabatini.com - Twitter: @Sabatini - Facebook: SandroSabatiniOfficial

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