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  • Abbiate pietà di Paul Gascoigne

    Abbiate pietà di Paul Gascoigne

    • Fernando Pernambuco
    Chissà cosa gli faranno dopo quella battuta da avanspettacolo nei confronti di un agente di polizia  nero? Paul Gascoigne, circa due mesi fa, è stato messo sotto inchiesta dalla polizia inglese per aver detto che “la sala era troppo buia” e perciò non riusciva a vedere bene un poliziotto di colore. Immediata la denuncia per razzismo di cui, a breve, si attendono gli esiti giudiziari. Ora, per carità, la battuta non fa ridere, ma su Gazza sembra che si scateni in pieno quel misto di amore e odio che caratterizza una società ancora un po’ vittoriana e forse per questo infatuata dalla trasgressione, come quella inglese.

    Non vorremmo che Gascoigne pagasse un ulteriore dazio al suo carattere che poi è diventato il suo destino. Un destino d’artista, come fu quello di Best e di Maradona, che lo ha fatto entrare nella leggenda dei sublimi eccessi del calcio. Vi ricordate quel dribbling stretto, su cui già danzava una pancia gonfia di birra? E quando, alle ripetute  uscite da cliniche o ospedali, pronunciava le fatidiche parole: “No! Non finirò come George (Best)”? E le pozze di sangue in cui di solito lo trovano le cameriere di un albergo alla periferia di Newcastle o di Leeds?

    Senza più un soldo, beatificato e condannato dai media, immortalato da un recente documentario, Paul è quel  misto di genio e sregolatezza, di sentimento e brutalità (CLICCA QUI per vedere le sue gag), che pianse a dirotto dopo la semifinale persa ai rigori contro la Germania nel Campionato del Mondo 1990. E’ quell’ amico dei tifosi laziali che, nel ritiro dolomitico, nonostante il più ferreo divieto della società, tornava in macchina con loro e si divertiva a buttar fuori dal finestrino tutto quello che trovava. E’ quel bullo che il giorno dopo essere ritornato con sua moglie la riempie di botte.

    Vorrebbe uscire dal labirinto turbinoso in cui è entrato fin da ragazzo, ma non ce la fa. Proprio come Best. E’ un artista dannato, di quelli che senza dannazione non sarebbero artisti. Come il pittore Francis Bacon, l’immenso poeta Dylan Thomas; come Ernest Hemingway, il più grande scrittore bevente. Tutti morti sul bicchiere in un turbinio d’immagini, parole, tristezze e slanci. Togliete loro l’alcool, l’eccesso e ne farete delle equilibrate sedazioni su due gambe. Sono uomini che ben presto hanno trovato intollerabile vivere con i propri fantasmi e hanno provato ad affogarli nell’alcool. Solo che l’alcool ha affogato loro.

    Devastati e devastanti, in molti casi  rappresentavano  quell’ urlo vivente, nascosto e rattrappito nel profondo di ognuno, che potrebbe sempre uscire fuori: gli istinti che albergano negli abissi interiori. Quegli abissi spesso  rappresentati dalla grande arte (e in questa ci mettiamo il calcio)  con le parole, la musica, i segni, i dribbling. 

    Campione dell’eccesso come Maradona, Gascoigne però non fa nulla per apparire diverso. Ovvero il redento che impartisce lezioni agli altri e pensa addirittura di candidarsi alla Presidenza della Fifa. Forse un Paul, ad alto tasso alcolico, come CT di una nazionale di calcio avrebbe fatto meglio di un Diego Armando normalizzato.

    Una sola cosa non gli perdoniamo: aver bevuto 60 lattine di Redbull in un giorno. Nella patria del Single Malt e del Gin, non è bello andarsene così. Paradossalmente Gazza non può smettere di bere di colpo. Se lo facesse rischierebbe un collasso. Deve scendere, di bicchiere in bicchiere, lentamente. Ci sta che nelle penombre dei sobborghi inglesi non riesca, nel fatidico e doloroso dimezzamento dei bicchieri, a distinguere  i colori dell’incarnato umano. Se davvero lo vogliono mettere in galera siano generosi: non si dimentichino il Gordon o il Laphroig. Pietà per l’uomo che beve.

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