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  • Ancelotti Cavaliere Jedi, Conte ha già scioccato l'Inghilterra: i pro e i contro degli allenatori italiani all'estero

    Ancelotti Cavaliere Jedi, Conte ha già scioccato l'Inghilterra: i pro e i contro degli allenatori italiani all'estero

    • Matteo Quaglini
    I nostri allenatori italiani all’estero sono oggi i migliori rappresentanti della nostra storia e cronaca calcistica, i migliori. Le loro competenze, le esperienze tecniche, il modo di studiare il calcio ne fa dei rappresentanti autorevoli e riconosciuti della nostra scuola calcistica così in crisi in termini di giocatori, politiche sportive e progetti ma capace ancora di esportare in grandi campionati e grandi squadre un’ultima eccellenza che i movimenti stranieri cercano per completarsi.

    Al via di questa stagione cinque allenatori: Ancelotti, Conte, Guidolin, Mazzarri e Ranieri (in rigoroso ordine alfabetico) stanno iniziando a lavorare in Inghilterra e Germania e noi dobbiamo chiederci, cosa porteranno in questi movimenti calcistici? Quali sono i loro punti di forza? E Quali gli ostacoli a cui vanno in contro?

    Molte domande a cui proviamo, insieme, a dare alcune risposte. Prima però partiamo da una considerazione generale che è il manifesto dell’esperienza italiana all’estero. Il calcio tout court è stato sempre veicolo d’interscambi di esperienze è la sua stessa natura che quasi gli impone la mescolanza di stili ma nel campo degli allenatori benché già ai tempi di Peppino Meazza (1949 Istanbul) si sviluppassero le prime attività di allenatori italiani all’estero, questo meccanismo è arrivato per noi italiani tardi per via di antichi pregiudizi (che tutt’oggi perdurano in specifici casi) sul “sistema” calcio all’italiana. 

    Quando avvenimenti politici e sportivi hanno allargato le frontiere della vita sociale, la vecchia idea di mescolare gli stili ha finalmente coinvolto anche i nostri allenatori e li ha portati così da vent’anni esatti a sviluppare i loro punti di forza e a plasmare squadre e giocatori internazionali. Gli allenatori italiani portano a questi complessi, delle volte colossi, tattica e cura del dettaglio, attenzione al gioco e alle sue fasi. In sintesi lavorano maniacalmente o ecumenicamente a seconda dei casi, a completare il gioco insegnando a studiare la partita. 

    Oggi per tornare alle nostre domande di prima come si presenta la loro situazione? Prendiamo Conte per un primo esempio. E’ alla prima esperienza (fortemente voluta) all’estero, e già è entrato nel sistema Chelsea con il suo stile forte e teso, esclusivamente teso al raggiungimento dell’obiettivo. Per gli inglesi sarà uno shock. Le immagini che arrivano da Cobham e, gli articoli che, già il Daily Mail e il The Guardian, ma anche il Times hanno speso sul suo gesticolare e urlare ordini tendono a raccontarne l’impatto emotivo e comunicativo e questo è per un italiano all’estero un punto di forza, non c’è dubbio. Quali sono gli altri che Conte Antonio da Lecce potrà usare a suo vantaggio? Primo, la tradizione di allenatori italiani al Chelsea, c’è una piccola e importante storia culturale italiana dentro il club, un solco sul quale camminare e portare idee nuove. Secondo l’aiuto piscologico delle due partite che la sua Juventus ha pareggiato e vinto contro i Blues campioni d’Europa, sembra niente ma può da vincente, su un gruppo vincente, ma in crisi e incompleto dettare la sua linea forte dell’idea: prima quand’eravamo avversari vi ho battuto, adesso insieme con i miei passi possiamo vincere. Terzo, questo Chelsea finito decimo è come la sua Juventus del 2011 settima, cioè una squadra grigia a cui dare un’anima.

    Mentre dovrà relazionarsi con uno staff composto da allenatori che sono lì da dieci anni e inserire i suoi allenando al meglio la seconda squadra che un coach deve gestire e cioè il suo gruppo di collaboratori, troverà un ostacolo nel suo punto di maggior forza, la tattica.

    Ma come mi direte Conte? Proprio lui che è riuscito a fare della nazionale italiana una squadra? Si proprio lui, ma attenzione quest’ostacolo a nostro avviso Conte saprà superarlo e trasformarlo in punto di forza grande. Concentriamoci sulla metodologia dall’allenamento (l’introduzione tattiche ancora non le conosciamo): Fatica, superamento dei propri limiti tecnici ed emotivi, esercizi a tempo e con obiettivi (il concetto della competitività), video serrati e ossessivi, esercitazioni con frequenti stop (quando c’è un errore) e ripetizioni continue, tutto giusto, tutto troppo tattico e italiano, tutto così poco inglese. I giocatori crederanno in tutto questo? All’inizio ci sarà il dubbio e allora Conte dovrà spiegare andando dritto al cuore dei suoi uomini, il fondamento delle sue idee. Quando cominceremo a vedere le prime partite, più del gioco, più delle disposizioni guardiamo i dettagli del suo Chelsea: come i giocatori usciranno dalle difficoltà e ribalteranno il momento. Perché Conte abbia successo, non sarà importante vincere due o tre partite all’inizio ma lavorare di ora in ora, giorno dopo giorno, sulla trasformazione di quest’ostacolo grande in un punto di forza. Ce la farà perché è teso verso la meta.

    Da un allenatore guerriero a un cavaliere Jedi, Carlo Ancelotti. Da un maniacale a un ecumenico. Da uno che insegna i dettagli a uno che insegna a giocare. Il re Carlo è perfetto per i tedeschi e il Bayern robotico lasciato da Guardiola. L’introduzione di questo stile che tende a cambiare il precedente e a migliorare i giocatori e a far venire fuori le loro migliori doti è il suo grande punto di forza. Un allenatore che ha eguagliato il mito Paisley, che ha allenato in 298 partite di squadre europee vincendone 202, che ha vinto 404 partite in carriera come head coach più qualche coppa campioni, può trovare ostacoli nel suo cammino? La risposta sarebbe no, ma c’è un piccolo si che fa capolino: vincerla per la quarta volta questa coppa dei campioni e superare le incomprensioni del secondo anno (vedi Parigi e Madrid). Da uomo intelligente e navigato, Ancelotti, nella sua conferenza di presentazione ha individuato, parlandone apertamente questi due ostacoli quindi è già in viaggio per superarli, forte e sicuro.

    Sicuro del suo lavoro è anche Claudio Ranieri, da alcuni mesi Sir di sua Maestà la Regina e campione d’Inghilterra in carica. Ho fatto un elenco dei punti di forza e degli ostacoli. Tra i primi ci sono: la conoscenza del calcio inglese, l’essere campione ammirato da una nazione tutta, la fierezza con cui conduce i suoi e il rispetto che ha da loro, i nuovi giocatori acquistati. Ma a preoccuparmi sono gli ostacoli: un possibile cattivo inizio, la retorica della favola e non della squadra, un minor sacrificio e un maggior “cinema” da parte di Vardy e compagni. In Inghilterra patria delle scommesse c’è anche chi indice la puntata su una retrocessione, perché avverte il pericolo degli ostacoli insormontabili. Sta a Ranieri superarli, io credo che li conosca meglio molto meglio di chi scrive, e allora visto che supererà una delle big six, la bilancia penderà ancora in suo favore.

    Qualche perplessità in più c’è su Mazzarri e Guidolin non penso al gioco ma all’espressione di se stessi. Gli ostacoli qui sono per entrambi quelli di ingessare il gioco, le loro squadre, i giocatori. Mazzarri ha voglia di rivincita non allenando da novembre 2014 ma se chiama il ritiro a Londra, non pensiamo che nasca empatia con i giocatori del Watford. Attenzione Walter ci vuole più flessibilità ed empatia, non t’ingessare mettici comunicativa!
    Lo Swansea ha fiducia in lui, e Guidolin è di nuovo dove è sempre stato, cioè in una società super organizzata. Ma ha ancora voglia di allenare al 100% o ormai coordina come fa da due anni? Ecco al tempo stesso un punto di forza che è anche ostacolo nell’altra faccia della medaglia. Lui e Mazzarri per superare queste insidie devono comunicare di più e meglio con il loro ambiente, no

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