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  • Antognoni:| 'Bandiera viola per sempre'

    Antognoni:| 'Bandiera viola per sempre'

    "Puoi anche vincere due scudetti e due coppe dei campioni ma poi che cosa ti rimane? Il tuo nome sugli almanacchi... Meglio essere ricordato come uno che non ha mai tradito Firenze e la Fiorentina. Sono convinto che l’affetto della gente sia più importante delle vittorie che non ho ottenuto".
    Antognoni: "Io, bandiera viola per sempre. La fedeltà conta più dei trofei".
    Oggi che ha quasi 57 anni Giancarlo Antognoni fa l’accompagnatore delle nazionali giovanili e ha un piccolo ufficio a Coverciano. Alle sue spalle c’è una foto che lo ritrae in bianco e nero nel pieno del suo fulgore calcistico. «Sono stato un calciatore dotato. Molto dotato. Diciamo un Rivera che correva".

    Rivera. Una citazione a caso?

    "Era il mio idolo. Io sono nato milanista. A Perugia mio papà gestiva un bar che era anche la sede di un Milan Club. Avevo 9 anni e la prima partita di serie A che ho visto è stata un Bologna Milan. Vinsero i rossoneri per 2-1. Da ragazzino sognavo di giocare nel Milan".

    E invece.
    "Invece a 15 anni mi ritrovai con la mia valigetta ad Asti. Mi aveva acquistato il Torino ma con il Toro giocai soltanto un’amichevole un giovedì. Allenatore era quel sardo che portava il colbacco...".

    Gustavo Giagnoni.
    "Si, Giagnoni... Poi mi volle la Fiorentina e Liedholm mi fece esordire nel ’ 72. A Firenze ho giocato fino all’ 87".

    Un’eternità.

    "Pensi che a Firenze ho avuto come allenatore anche el paròn Rocco. Grande simpatia, ci faceva ridere con le sue battute. Veniva dal Milan, si vedeva che era un uomo esperto".

    Lei è stato allenato pure da Aldo Agroppi, uno che aveva la lingua tagliente.
    "Era un tipo particolare, un po’ naif. Non sopportava l’orecchino di Baggio. Figuriamoci oggi con tutti quei tatuaggi in circolazione".
     
    Con la Fiorentina sfioraste pure uno scudetto.
    "Era l’ 81-’ 82 e quel campionato perduto grida ancora vendetta. Arrivammo a un punto dalla Juve: all’ultima giornata a Cagliari ci annullarono un gol regolare di Graziani mentre la Juve vinse a Catanzaro con un rigore, che c’era... Forse non doveva finire con uno spareggio perché c’era il Mondiale che incombeva e in Nazionale eravamo in cinque della Fiorentina e in sette-otto della Juve".

    È mai stato vicino a un altro club?

    "Un paio di volte. Nel ’ 78, dopo il Mondiale in Argentina, fui chiamato dal presidente Melloni. Mi disse che mi voleva la Juve. Però non se ne fece niente per paura della reazione dei tifosi".

    Poi?
    "Nell’ 80 andai io a Roma dal presidente Viola. Invitò a cena me e mia moglie, mi avrebbe dato piazza di Spagna. Allenatore della Roma era Liedholm: voleva Antognoni e Baresi. Solo Antognoni e Baresi. Alla fine decisi di rimanere".

    Anche in questo caso per paura dei tifosi?
    "No. Nessuna paura. Mi convinsi che era giusto restare e basta".

    E il suo presidente di allora come la prese?

    "Il presidente era Pontello, aveva appena comperato la società da Martellini. Non sapeva niente, glielo dissi dopo".

    I due anni trascorsi a Losanna a fine carriera che cosa hanno rappresentato per lei?
    "Mi sono serviti per preparare l’uscita di scena".

    Lei nella Fiorentina ha rivestito anche cariche dirigenziali.
    "Dal 1990 al 2001 ho fatto un po’ di tutto. Osservatore, team manager e direttore generale. Il fiore all’occhiello della mia gestione resta comunque Rui Costa. Lo acquistammo per 7 milioni di dollari dal Benfica".

    E come finì il suo rapporto con il club della sua vita?

    "Ero molto legato a Fatih Terim e quando apparve chiaro che lui sarebbe andato ad allenare il Milan dissi a Vittorio Cecchi Gori: se va via Terim vado via anch’io. Sa cosa mi rispose Cecchi Gori?".

    Dica.
    "Mi rispose: prego...".

    Possibile che uno come lei non sia riuscito a trovare un’altra sistemazione?
    "L’unica società con cui ho parlato è stato il Milan. Galliani fu molto gentile ma non se ne fece niente".

    Torniamo ai tempi in cui lei giocava: che calcio era quello di trent’anni fa?
    "Un po’ più romantico. Si viveva bene in quegli anni, non c’era la confusione che c’è oggi. La domenica si girava in bici. In definitiva era un calcio più familiare".

    Chi era il boss del mercato ai suoi tempi?

    "Il ras era Allodi, un signore. Gli ho visto regalare centomila lire a un bambino che gli aveva chiesto l’autografo. Centomila lire negli anni Ottanta erano soldi".
     
    Chi è l’Antognoni di oggi?
    "Aquilani... Montolivo... Totti quando fa il trequartista".

    Che cosa le è rimasto dei due gravi incidenti di gioco che le sono capitati? Frattura del cranio nello scontro con il portiere genoano Martina e di una gamba dopo un intervento del sampdoriano Pellegrini?
    "Ho sempre creduto nella buona fede dei miei avversari. Comunque in entrambi i casi è stata dura. Forse se avessi avuto i parastinchi avrei salvato almeno la gamba".

     
    Qual è stata la più grande delusione della sua vita calcistica?
    "A parte quella partita di Cagliari che ci costò lo scudetto, la finale del Mundial spagnolo che non mi fu possibile giocare per squalifica. Quella volta mi girarono parecchio le scatole. Vidi Italia-Germania dalla tribuna stampa".

    Può spiegarci come mai una bandiera viola come lei non sventola nella Fiorentina di oggi?
    "Me la fanno tutti questa domanda ma non so rispondere. Il mio rimpianto è quello di non avere avuto la possibilità di incontrare Della Valle. Gli ho chiesto soltanto un colloquio, mica gli ho chiesto di assumermi. Ho il sospetto che qualcuno gli abbia parlato male di me".


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