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  • Baretti, lo juventino che trattenne Baggio e conquistò Firenze

    Baretti, lo juventino che trattenne Baggio e conquistò Firenze

    • Marco Bernardini
    Alessandro è figlio d’arte. Giornalista di Tuttosport è ormai da tempo entrato a far parte della famiglia della quale suo padre, Pier Cesare, fu indimenticabile direttore fino a quando, alla fine dell’Ottantadue dopo il clamoroso trionfo degli azzurri in Spagna, non venne chiamato a presiedere la Lega Calcio. Baretti è il cognome di padre e figlio.

    Discendenti di un’antica famiglia cuneese, di 
    Dronero dove nacquero altri giornalisti eccellenti come Giorgio Bocca, Ezio Mauro e Gianni Romeo. Per Alessandro la partita in programma tra Fiorentina e Juventus sarà, coma al solito, occasione per vivere una giornata particolare.

    Malgrado le sue origini piemontesi e la 
    juventinità sempre esplicitata dal suo babbo, lui tifa per i viola. Una malattia, inguaribile, presa il giorno in cui lui era davvero molto piccolo ma il genitore lo porto egualmente in tribuna al “Franchi”. Pier Cesare Baretti, infatti, era il presidente di quella Fiorentina i cui proprietari erano i Pontello. Una storia che avrebbe potuto essere lunga e ricca di soddisfazioni, ma che venne tagliata in due dalle forbici del destino. Il 5 dicembre 1987 il piccolo aereo Cessna sul quale il presidente stava completando l’ultima sua lezione di volo, a causa del maltempo, si schiantò in un bosco della Montagnassa a pochi chilometri da Torino. Baretti era stato anche il mio direttore. Venni inviato sul posto della tragedia. Lo vidi penzolare da un albero nel quale era rimasto impigliato dopo l’urto fatale. Io persi un buon amico. La Fiorentina un ottimo presidente e manager.

    Credo che Firenze e il popolo viola non abbiano dimenticato Pier Cesare, malgrado siano trascorsi quasi trent’anni. Sono certo che lui è stato e sarà sempre l’unico juventino al mondo che sia riuscito a conquistare quella parte di città tifosa la quale identifica i colori bianconeri con il peggio che si possa immaginare. Il motivo della stima e della fiducia che il giovane presidente seppe meritarsi nel corso della sua troppo breve gestione va intanto ricercato nell’onesta intellettuale dello stesso Baretti il quale, fin da subito, seppe spogliarsi dei suoi abiti da “forestiero” per calarsi interamente nella realtà sociale e sportiva di una città speciale ma anche difficile per chi arriva da fuori porta. Intanto Pier Cesare fece alla Fiorentina e al suo popolo il regalo più bello. Portò in viola, dal Vicenza, Roberto Baggio ma soprattutto lo trattenne contro tutti i gufi che ritenevano il campione un vuoto a perdere dopo che si era fracassato un ginocchio.  Baretti, capatosta piemontese, scommise se stesso e, dopo averlo fatto curare come un padre, vinse la sfida. Baggio, ancora oggi, dichiara gratitudine eterna nei confronti del presidente.

    Ma il lavoro più importante che  Baretti riuscì a completare in così poco tempo fu sostanzialmente quello di natura sociale e civile. Prima del suo arrivo la tifoseria viola era universalmente considerata come una tra le più complicate e difficili da educare, da tener sotto controllo in quanto al profilo di comportamento sportivo. In Fiesole, la curva ultras per eccellenza, si ragionava soprattutto e forse solamente con la pancia. Gli avversari, non solo la Juventus, erano dei nemici da abbattere e non degli avversari da battere. Una filosofia che non piaceva a Baretti il quale odiava ogni tipo di meschina faziosità. Lui, che aveva scelto di vivere a Firenze e che aveva trovato un piccolo ma delizioso appartamento in Ponte Vecchio, cominciò un’opera di convincimento “porta a porta” con i tifosi viola allestendo autentici stage settimanali mirati al raggiungimento dell’educazione civico sportiva. Né punizioni, né multe e nessuna restrizione particolare. Soltanto, come condizione obbligatoria, l’uso del buon senso.

    Con Baretti, insomma, la Fiorentina cominciò a porsi e a proporsi come modello etico e aziendale di primo piano nel panorama del nostro calcio. A livello di risultati, prima con Bersellini e poi con Eriksson in panchina, sarebbe occorso ulteriore tempo anche se la strada giusta era stata tracciata e intrapresa. Pier Cesare non ebbe il tempo di realizzare il progetto che portava ben netto nella sua mente di ottimo manager difensore delle tradizioni ma con lo sguardo proiettato verso il futuro. Malgrado ciò, dopo di lui la Fiorentina non fu più la stessa dei tempi del “coraggio e della sregolatezza” un po’ troppo dilettanteschi. Una lezione, la sua, che dura ancora oggi e che nessuno si sognerebbe mai di rinnegare. Malgrado la juventinità di Pier Cesare.

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