Calciomercato.com

  • Calcioscommesse, parla Bellavista: 'No all'amnistia, ho perso la testa per i soldi'

    Calcioscommesse, parla Bellavista: 'No all'amnistia, ho perso la testa per i soldi'

    L'uomo chiave dell'inchiesta calcioscommesse, ex Bari e Verona.
    Bellavista: "Ho perso la testa per i soldi".
    "I denari degli zingari mi abbagliavano. Tentavo di combinare le partite, ma non sono l'unico colpevole".
    No all'amnistia: "A fine campionato gare poco limpide, è giusto che si scavi fino in fondo e che paghino tutti".


    Signor Bellavista, come si difende dalle accuse di calciatori e faccendieri vari secondo cui sarebbe lei uno dei “registi” di scommessopoli?
    «Sembrerà un paradosso, ma visto quel che sta emergendo in queste ore io mi sento preso in giro, direi truffato. I miei sono stati tentativi di illecite scommesse, però ora si capisce che certe partite erano già decise e combinate, come Atalanta-Piacenza. Ed io sono stato davvero ingenuo nell’avere rapporti con certe persone...».

    Nei vari social network lei si è più volte sfogato dicendo: “Mi stanno massacrando...”

    «E’ quel che ho voluto urlare a chi mi conosceva quando mi hanno accostato ai clan malavitosi imputandomi l’associazione a delinquere. E’ stata la cosa che mi ha fatto più male, visto che non ho mai avuto contatti con i clan baresi, ma solo col ristoratore De Tullio. Non si può infangare oltre misura la dignità di una persona».

    A scrutare gli atti sembra che che la sua ombra fosse su ogni partita. Da Atalanta-Piacenza a Ravenna-Spezia agli incontri del Bari...
    «Quelle sono solo ipotesi che non reggono più. Ogni giorno leggo il mio nome anche legato a incontri cui ero totalmente estraneo, e questo mi dà fastidio. Le intercettazioni dovevavo essere fatte in modo più approfondito; non basta sentire Bellavista che dice “quella squadra vince” per mettere su il castello delle accuse. Così come non basta un mio viaggio a Bologna. Non ero io che condizionavo le squadre e i giocatori, andate a rileggere bene il ruolo della banda Erodiani».

    Ma perché allora minacciò Paoloni dopo una scommessa andata male?

    «Non fu una vera e propria minaccia. Dopo Atalanta-Piacenza, Paoloni ci diede la “bufala” di Inter-Lecce. Disse di puntare sicuro sull’over 3,5, ma finì 1-0. Avevo lasciato a Bologna un titolo bancario, lo volevo recuperare e toccava a Paoloni estinguere quel debito col gruppo dei bolognesi. E’ vero, avrò usato toni forti, ma non avrei mai fatto del male a nessuno».

    Che rapporti aveva con Gervasoni, Doni e Signori?
    «Il primo era un ex collega con cui avevo giocato a Bari, ma con cui non c’erano rapporti. Doni non lo conoscevo personalmente mentre con Signori ci vedevamo a Bologna, è vero».

    E cosa facevate?

    «Riunioni fra di noi, si cercava di capire su quali partite poter scommettere».

    Poi sono spuntati gli slavi. Gente poco raccomandabile...
    «Li ho conosciuti durante i miei soggiorni a Milano. Sì, è vero, non erano “santi”. Nascevano così le scommesse sulle partite, ma io voglio dire che quando fai certe cose sai pure che nelle ultime gare ci sono taciti accordi fra le squadre. Le ultime 5-6 giornate non sono mai limpide: ora si vede grazie al termometro delle scommesse, prima viaggiavano i valigioni. I miei erano solo tentativi di convincere ex colleghi a combinare certi risultati, e non mi sono reso conto della gravità delle mie azioni. Alla fine ho pagato col carcere la mia superficialità perché quella gente non la conoscevo: mi parlavano di cifre, di tanti soldi, io davo loro retta. Sbagliando».

    Come si avvicinano i calciatori?

    «Tramite un giro di conoscenze, prendendo informazioni. A Milano funzionava così. Si proponevamo i soldi, cercando di capire le singole situazioni. A volte però ci prendevano in giro: così a Bari parlammo con Masiello e Iacovelli ma loro prendevano accordi con altri, tipo Gegic e Carobbio».

    Che cifre si promettevano ai giocatori?
    «Molto alte. Gli zingari pagavano dai 150mila euro in su».

    Il pm Di Martino parla di amnistia per tutti...
    «Sono contrario. Voglio che la giustizia continui a scavare alla ricerca della verità. Ed è giusto che paghino tutti. Io ho tentato di scommettere illecitamente su alcune partite ed è giusto che venga giudicato, ma non la radiazione».

    Qualcuno sta cercando di coprire gli “intoccabili”?

    «Non lo so. Ma se sono coinvolte società e giocatori importanti è giusto che paghino. Non c’è bisogno di scommettere per commettere un illecito, basta vedere quel che succede nelle ultime partite. E mi viene da ridere sentire un presidente beccato con 250mila euro nella valigetta dare lezione di morale o le class action di vecchi giocatori, come se fossero tutti santerelli...».

    Veniamo al Bari, la sua ex squadra: ne ha combinate di tutti i colori..
    «Si, ma non dite che è retrocesso per colpa di Bellavista. Parlavo solo con Masiello, gli altri avevano paura. È vero l’illecito resta per le ultime gare di campionato, quando il Bari era già a pezzi. Ma non mi si attribuiscano responsabilità maggiori».

    Dopo questa brutta esperienza si è pentito?

    «Serve a qualcosa? Io devo solo crescere, anche se tanti amici mi hanno abbandonato. E’ ovvio, non rifarei nulla di quello che ho fatto. Mi sono fatto abbagliare dai soldi, ho sbagliato tutto. Ma ai miei ragazzi della scuola calcio e ai loro genitori ho chiesto scusa. Penso di aver diritto ad una seconda possibilità».


    Altre Notizie