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  • Berlusconi traditore se vende il Milan

    Berlusconi traditore se vende il Milan

    • Marco Bernardini

    Gentile presidente, dopo trent'anni di reciproci punzecchiamenti a distanza, mi permetto di rivolgermi direttamente a lei non nella consueta veste di giornalista ma, molto più semplicemente, come cittadino in primis e come appassionato di sport subito dopo. Due "status" esistenziali legati da un unico comune denominatore. La più classica e ricorrente frase da lei spesa pubblicamente negli anni vissuti come premier e come imprenditore: "Agli italiani prometto che…" e avanti con l'elenco che, di volta in volta, riguardava le varie tessere del difficilissimo puzzle attraverso il quale tentare di mostrare al mondo un'Italia dal volto nuovo. 

    Una sera come bene ricorderà, davanti alle telecamere della concorrenza e con ai suoi piedi un Bruno Vespa irradiato da una luce quasi mistica, lei appose la sua firma su un documento (ovviamente di scena) che venne lipperlì battezzato "contratto con gli italiani". Si trattava di elementi importanti per la vita dei cittadini e di decisioni epocali che avrebbero dovuto consentire al nostro Paese di parcheggiare in una "zona storica" luminosa e illuminata del mondo. Ripeto, non erano progetti ma, per sua stessa voce, promesse ovvero materiale etico per il quale solitamente sarebbe buona norma dare un seguito concreto. Tasse, prima casa, Ici, Iva, posti di lavoro, magistratura, scuola, immigrazione, costituzione, grandi opere, sicurezza, immagine internazionale. Tanta roba. Troppa. 

    La prego di credermi, Cavaliere. Non ho mai dubitato della sua buona fede. Semmai, mi sono sempre chiesto quanto di visionario vi fosse nei programmi che lei, con indiscussa abilità innata, "vendeva" come praticamente realizzati ancora prima la posa della prima pietra. Due esempi minimalisti, tanto per capirci, immersi in una scenografia da effetti speciali. La città de L'Aquila, osservata dall'alto, è rimasta un inquietante e silenzioso museo archeologico. Chi dovrà anche quest'estate affrontare la Salerno-Reggio Calabria per andare in vacanza dovrà, come sempre, munirsi di cornetti e ferri da cavallo prima di intraprendere il viaggio. Sul resto, cioè sul "tutto" che non è stato realizzato, ciascun cittadino e libero di riflettere come gli pare. Malgrado ciò, la invito nuovamente a credermi, non sono particolarmente incazzato e né mi sento preso per i fondelli da quelle promesse da marinaio. Deluso, certamente, e anche un poco preoccupato. Non tradito. E sa perché? La ragione è molto semplice. Lei, di fatto, parlava di pensieri e di opere la cui attuazione avrebbe avuto del miracoloso. E tutti sappiamo che dall'alba dell'uomo una sola persona, duemila anni fa, ebbe tale privilegio. Vestiva una tunica priva di tasche e finì in croce. Figuriamoci oggi che è manco più tempo di maghi! Fin qui le considerazioni di un cittadino perplesso. 

    Proseguo, per finire, come appassionato di sport e autentico innamorato del "giuoco" (come ama dire lei) del pallone. Non sono milanista, come lei ben sa, anche se posso vantare un paio di parenti che hanno provveduto a fare grande la squadra rossonera nel corso di due generazioni. Parlo dei Maldini padre e figlio. E' di ieri la notizia ufficiale secondo la quale lei ha dato via libera alle trattative con i cinesi per arrivare alla cessione del "suo" Milan. Mi piace sottolineare con forza quel "suo" perché lei, presidente, con ancora più vigorosa energia passionale ebbe in ben più di un'occasione a affermare: "La società e la squadra rossonera sono entrate a fare parte della mia famiglia, per questo non le lascerò mai". Una promessa ricorrente e plausibile fatta al popolo milanista in mezzo alle tante "immantenibili" rilasciate al cittadini italiani. Da juventino, come sono, dovrei provare assoluta indifferenza rispetto alla prevista rivoluzione. Da sportivo in senso ampio mi incazzo un bel po' e la prego di riflettere visto che è ancora in tempo per salvare la storia rossonera e anche se stesso da una figura eticamente discutibile. 


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    Vede, presidente, ho conosciuto e conosco personaggi illustri e persone semplici che, arrivate alla sua invidiabile età di patriarca, praticavano e praticano ancora il conquistato diritto alla felicità autentica dicendo ogni cosa che passa loro per la testa e agendo finalmente e soltanto per amore anziché per interesse come erano stati costretti tante volte a fare. Quello del finale di partita, più o meno lungo che possa essere non dipende da noi, è uno fra i doni più preziosi che ci viene lasciato tra le mani quando invecchiando diventiamo sempre più bambini. I bimbi giocano. Il gioco rende felici o perlomeno sereni. La felicità e la serenità alimentano l'amore. L'amore, ciò che muove il mondo e le altre stelle come scriveva Dante, è il capolinea per ciascuno di noi. Allora, presidente, ma chi glielo fa fare a prendere per buone le cose che gli vengono suggerite da chi del Milan non può fregare di meno perché non ha capito un bel nulla di ciò che intimamente prova lei rispetto a quella che non è più una semplice squadra di calcio ma un membro della famiglia? E' chiaro che di mezzo c'è un mare di quattrini in ballo e che lei, dopo aver lavorato come una bestia per mettere insieme un impero economico di rispetto internazionale, dei suoi soldi può fare ciò che vuole.  Ma rammenti "a livella" del grande Totò, prima di distribuire il suo tesoro a figli, nipoti, e mogli, fidanzate, lacché assortiti intrallazzoni off shore e magari qualche olgettina non ancora appagata. Dia retta, presidente. Questa volta mantenga la promessa. Si tenga il suo "amore", non lo tratti come una vecchia amante venuta a noia, lo rivesta con abiti giovanili e possibilmente italiani, trovi un "tutor" bravo e intelligente per il lavoro di routine. Il popolo rossonero e la gente di sport capiranno e non la lasceranno solo. In caso contrario lei avrà tradito soprattutto se stesso. In bocca al lupo. 


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