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  • Bernardini: Riva vorrei che tu e Manlio...
Bernardini: Riva vorrei che tu e Manlio...

Bernardini: Riva vorrei che tu e Manlio...

Non lo chiamo. Giuro che non mi faccio sentire al telefono. Non oggi, perlomeno. Lo farò quando potrò avere la certezza che gli sarà passata e che quindi mi risponderà con la sua solita gentilezza e si renderà disponibile per una bella chiacchierata. Si tratterà solamente di scollinare questo maledetto 7 novembre, e cioè il giorno in cui a Leggiuno, dove una volta la nebbia la vendevano tanta che ne avevano, settantuno anni fa nasceva un bambino che sarebbe stato battezzato Luigi. Gigi per la amici. Giggiriva, in seguito, per tutti gli autentici innamorati del pallone. Un totem che non ha certamente bisogno di presentazioni.

L’anno passato, tipo oggi, mi scordo come è fatto e gli telefono a Cagliari dove vive. Tanti auguri, mito. Mi prendo due accidenti arrotati con voce da mille sigarette e gli chiedo scusa interrompendo subito la conversazione. Alla prossima. Avevo dimenticato che se al mondo c’è una cosa che non sopporta è quella di dover pensare che è arrivato il giorno del suo compleanno. Figuriamoci se dovesse anche essere obbligato a festeggiarlo. Strano? Mica tanto. Gigi Riva è uno dei pochi personaggio e delle rare persone che dopo aver superato le Colonne d’Ercole ed essere sopravvissuto ad  un viaggio così impegnativo è persino riuscito a compiere il percorso inverso e tornare tra di noi. Di ciò che ha visto e delle cose che ha sentito non ne parla. Ma basta osservarne il viso modellato da fiumi di rughe dolci e tenere come illustrazioni per bambini e quasi sempre nascosto dal fumo delle sigarette “via-una-l’altra”, per rendersi conto di aver a che fare con una leggenda vivente. Ruolo che lui, peraltro, rifiuta con cocciutaggine sentendosi maledetto come il giorno in cui venne alla luce in un mondo che non  gli garbava. Infanzia problematica sul serio. Gioventù maltrattata dal quotidiano. Un unico, enorme e vero punto di riferimento. La sorella che gli fa anche da padre e da madre. E quando arriva la depressione a rendere le notti del giovane Gigi da Leggiuno un mondo di orchi loro due combattono insieme.

Ne abbiamo parlato tante volte nel corso di una vita professionalmente parallela e specie alla sera seduti ad un tavolino della Stella Marina, sotto le gradinate di una bella piazza cagliaritana, dove sono cinquant’anni che il padrone per cena gli fa trovare il minestrone al quale Gigi rinuncerebbe manco in cambio di un’aragosta. Lui preferisce mangiare da solo, leggendo le pagine di un libro. Ma, insistendo un poco, alla fine scosta la sedia e fa “Dài, cinque minuti, il tempo di un bicchiere di vino. Poi mi lasci in pace”.  A mezzanotte ci chiedono gentilmente di andarcene per poter sbaraccare. E’ andata sempre così, con Riva in tutte le sue molteplici versioni. Il ragazzo che arriva in Sardegna è dice: “Ma io sono nato qui! Perlomeno in una vita precedente…”. Il giovane che diventa re di questa terra e ad un Avvocato torinese che lo vorrebbe portare via strappa un faraonico assegno davanti agli occhi. Il re che si scappa gambe, caviglie e pèroni per la causa e la bandiera del suo Paese. Il “Rombodituono” che, una volta smesso l’uragano, si offre gentile e saggio alla carovana azzurra in giro per il mondo. Mai l’Italia intesa come team ebbe ambasciatore più competente di lui. E ora, a settanta colpi più uno, si può soltanto ricordare e un poco rimpiangere i giorni felici e mirabolanti in cui lui, Gigi Riva, e Manlio Scopigno, l’ allenatore di un Cagliari unico e irripetibile, organizzavano le strategie per vincere la partita del giorno dopo. Al tavolo verde, con le carte in mano, una stecca di sigarette a fianco e un whiskyno a corredo. Spesso l’alba li sorprendeva così. E di li a poche ore sarebbero stati guai per…gli avversari. Ecco, Gigi, se oggi ti telefonassi vorrei dirti che tu, Manlio e io….

Marco Bernardini

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