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  • Bisoli, argento vivo di Bologna

    Bisoli, argento vivo di Bologna

    DA GIOCATORE è stato allievo di Carlo Mazzone nel Cagliari, da allenatore è cresciuto intorno alla tavola della tattica con Renzo Ulivieri e Sergio Buso, ha esordito come vice di Dino Zoff a Firenze e non appena ha camminato da solo, è andato a Cesena a eguagliare il record di Gigi Radice, che in Romagna firmò una striscia postiva di quattordici partite. Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. Ha frequentato soprattutto uomini di esperienza e di personalità, Pierpaolo Bisoli. Strano che Cellino, il presidente del Cagliari che lo ha ingaggiato per poi esonerarlo, l’anno scorso, dopo appena otto partite, si sia stupito quando il suo allenatore, esordiente in serie A, è entrato nello spogliatoio per spiegare bene che non era arrivato un pivello, ma un allenatore che sa il fatto suo e che i piedi in testa non se li fa mettere da nessuno, men che meno dai senatori.

    Allora Bisoli non è un ragazzo duttile, può obiettare qualcuno. E’ vero il contrario. Lo è al punto da aver rinunciato ad ascoltare il suo cognome pronunciato correttamente. Lui, di Porretta Terme, come tanti altri Bisòli (con l’accento sulla ‘o’) è diventato per tutti Bìsoli (con l’accento sulla ’i’). A inizio carriera, ha tentato di mantenere integra la sua identità, poi ha rinunciato. Una storia simile a quella dell’attuale tecnico della Juve: «Del Neri o Delneri? Fate voi — disse un giorno — per me vanno bene tutti e due».

    A LUI VA BENE soprattutto il Bologna. Era uno dei suoi sogni, fin da ragazzino, quando iniziò a giocare a calcio. Rossoblù la sua prima maglia da centrocampista. Durò pochissimo. fermato da un soffio al cuore, quando era nelle giovanili. In realtà, stava benissimo. Succedeva a molti ragazzi in quegli anni di essere fermati a scopo precauzionale: con lo stetoscopio il medico auscultava, diagnosticava il «soffio» e imponeva solo piccoli sforzi. Niente agonismo. Poi sono arrivati gli strumenti necessari a vederlo non solo a sentirlo, il cuore e i «soffi» sono drasticamente calati. Quello di Bisoli non era grave, tanto è vero che pochi mesi dopo lo avrebbe preso la Pistoiese. Viaggerà poi da un club all’altro della C1, il nostro Bisolone, fino a quando Cellino lo porterà nel suo Cagliari in serie A, affidandolo prima a Giacomini poi a Mazzone. Disputerà dieci stagioni in serie A, l’ultima nel Brescia, in compagnia di Robi Baggio.

    A 35 ANNI, con 271 presenze e 7 gol sulle spalle, torna a Pistoia a chiudere la carriera laddove l’aveva iniziata. A cavallo fra il 2002-2003 si ferma. Torna a Porretta, ma è spesso a Coverciano a scalare, a forza di esami, la piramide degli allenatori. La sua nuova vita inizia a Foligno, serie C1. Pronti via, premiato come miglior tecnico della categoria. Lo ingaggia il Cesena, sempre in Lega Pro. In Romagna, Bisoli farà come Ulivieri a Bologna: due promozioni consecutive per approdare in serie A, ma non in bianconero. A metà strada si era promesso al Cagliari e ha mantenuto la parola. Cellino lo aveva conosciuto come giocatore, lo voleva anche come allenatore. Si era detto pronto a proteggere l’esordiente: «E’ vero che sono un mangiallenatori, ma se licenzio Bisoli, vi autorizzo a sputarmi in faccia». Bisoli puntualmente esonerato dopo una sconfitta con la Lazio, ma nessuno ha poi sputato al presidente che si era rimangiato la parola data.

    QUESTA È, di fatto, la prima amarezza nella carriera di Bisoli che pochi mesi più tardi, il 7 febbraio di quest’anno, viene eletto come miglior giovane allenatore del nostro calcio, di fatto come il miglior allenatore italiano: la Panchina d’Oro va al portoghese Josè Mourinho, mentre Bisoli, primo fra gli italiani, si prende quella d’argento. Non per aver sopportato Cellino, ma per aver stupito tutti alla guida del Cesena. Il Bologna lo ha ingaggiato per due stagioni (se il prossimo anno si salva) e gli ha garantito uno stipendio a crescere, in rapporto ai risultati.

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