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  • Bonucci, lo juventino che divide l'Italia

    Bonucci, lo juventino che divide l'Italia

    • Luca Borioni
    Leonardo Bonucci è il nuovo Beppe Furino . Interpreta il rinnovato simbolo di una juventinità orgogliosamente ruvida , di un sentimento che non può piacere a chi non ne fa parte ma che appare immediatamente riconoscibile a chi invece è schierato sulla stessa linea. In altre parole, Bonucci è lo spartiacque della cosiddetta antijuventinità : se ne fa carico volentieri per delimitare il confine tra la sponda bianconera e i flutti di altro colore. Pensa e agisce da uomo simbolo, da giocatore tifoso che non disdegna, appena può, di andare oltre le consegne classiche delle interviste postpartita e magari di trovarsi un posto in curva quando per qualche motivo non può scendere in campo con gli altri giocatori.

    Bonucci divide. La sua originale celebrazione dei gol – perché è un difensore, tanto per cominciare, che di gol ne segna e anche di pesanti – è il primo effetto di questa appartenenza esibita. E pazienza se il gesto non risulta certo elegante, perché il messaggio è chiaro: sciacquatevi la bocca prima di criticarmi o di criticarci…

    Una presa di posizione netta, che ha sempre alimentato le critiche nei suoi confronti anche in misura eccessiva . Non a caso l’ultimo episodio controverso, l’atteggiamento intimidatorio durante il derby nei confronti del pavido Rizzoli, è stato preso a pretesto dai complottisti per ripescare storie torbide e rinvigorire quel sentimento “anti” che in Italia attecchisce sempre con successo contro chi ha successo. Un fotogramma visto anche in altri film, con altri protagonisti e sotto diverse bandiere. Ma quello del derby è stato un assist ideale per il risentimento del tifo contro.

    Bonucci in partita è un difensore tecnicamente elegante , abile nell’anticipo e capace di avviare la manovra da autentico centrocampista, un regista aggiunto che sa effettuare con precisione il lancio lungo smarcante e all’occorrenza sfonda la porta avversaria, non solo con conclusioni da fuori ma anche di testa, sfruttando la sua stazza e al tempo stesso l’agilità dei suoi muscoli.

    Eppure per imporsi all’attenzione generale Bonucci ha faticato assai. La Juve lo aveva prelevato dal Bari (ex Primavera Inter) investendo una cifra impegnativa, 15 milioni, ma nella prima parte della sua esperienza bianconera, con Delneri allenatore, il rischio che quel prospetto fallisse era sembrato elevato. Poi, con Conte, il talento di Bonucci è stato liberato e il recente imprimatur di Guardiola – uno che sulla ripartenza del gioco dalla manovra difensiva ha basato tutto il suo credo tattico – ha rappresentato il punto più alto della carriera di questo centrale che oggi, senza dubbio, occupa un posto sul podio dei migliori d’Europa nel ruolo. Piaccia o meno. Perché c’è chi fa obiezioni e coglie al volo gli errori occasionali per promuovere il ridimensionamento degli elogi, per sottolineare gli aspetti caratteriali o disciplinari, insomma prende a pretesto l’appartenenza, riconoscendo in Bonucci la juventinità smaccata, per infiammare le solite polemiche o per avanzare dubbi sulla limpidezza di certe vittorie.

    Ma non basta. Bonucci che si fa male in Nazionale dopo una prestazione per una volta non all’altezza e che poi guarisce in fretta, non concede alibi , quasi si prende gioco di chi non gli vuole bene. I numeri dicono che senza di lui la Juve è più vulnerabile e la visione della partita conferma che il suo stile e il lavoro difensivo sono più incisivi di quello, altrettanto valoroso, dei compari di reparto Chiellini e Barzagli.

    Siamo a livelli d’eccellenza storici, nonostante la Juve abbia avuto interpreti di assoluto spessore in retroguardia , da Parola a Scirea, da Kohler a Montero. Ma se proprio dobbiamo individuare un termine di paragone, simbolico più che tecnico, non assimilabile nella struttura fisica e nel ruolo, ma omologabile per attitudine e maglia, ecco che Furino è il riferimento giusto. Neppure lui piaceva agli avversari, ma era indispensabile per la sua squadra .
     

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