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  • Bonucci:| 'Non buono l'approccio con Conte'

    Bonucci:| 'Non buono l'approccio con Conte'

    "Sempre stato juventino, anche se la mia famiglia...".
    Bonucci: "Il Napoli si batte correndo per 90 minuti".
    L'approccio con Conte? Non buono: ero fuori forma".


    Più che un soldatino, un corazziere. Leonardo Bonucci, 25 anni, da Viterbo, quartiere Pianoscarano, sul muro aveva il poster di Del Piero e la foto con il conterraneo Peruzzi. Ora lui è diventato un muro, grazie a Conte. Però il carattere c’era. Gli ha fatto sopportare i lunghi mesi tra prati verdi e aule grigie. «A sostenermi sono stati mia moglie Martina e mio figlio Lorenzo, nato il 7 luglio. Mia moglie è anche la mia migliore amica. Sapeva che mai e poi mai avrei potuto fare quello che dicevano».



    In effetti, come diceva un vecchio spot, malgrado tutto ha una buona cera.
    «Ho dato sempre il massimo sul campo. Fuori puntavo sulla mia buona fede. La verità sarebbe uscita».

    Mai pensato di patteggiare?
    «Siamo arrivati a un passo, mi sono rifiutato: voglio andare fino in fondo, non merito la squalifica».

    Conte non le ha mai detto: l’avessi fatto anch’io!
    «Situazioni diverse. Lui ha ascoltato gli avvocati, come in alcuni casi è giusto che sia. Io ho la testa dura. Anche sul campo. Se faccio un errore insisto finché non rimedio».

    Mai avuto paura di trovarsi appiedato?
    «Sinceramente no. Le mie certezze contavano poco, ma da innocente ho tirato dritto. Sapevo di essere pulito. Avevo fiducia nei miei avvocati e nella giustizia sportiva».

    Oltre a sua moglie Martina, chi l’ha aiutata?
    «Il mio motivatore, Alberto Ferrarini: mi ha fatto passare la rabbia che tenevo dentro. Lo conosco da quando sono finito in tribuna a Treviso. All’inizio ero titubante. Però a pelle ho avuto fiducia, poteva essere un valore aggiunto. Lo è. Con lui faccio esercizi di programmazione neuro-linguistica, aiutano a scaricare emozioni, sia positive che negative».

    In tema di emozioni, Mazzarri ancora ieri difendeva la mancata partecipazione del Napoli alla premiazione della Supercoppa a Pechino.
    «Per educazione e per rispetto verso gli avversari, verso l’arbitro, che è un essere umano e può sbagliare, e verso chi, dall’altra parte del mondo, ci era venuto a vedere, sarebbe stato opportuno che si presentassero. Si potevano aspettare quei 5 minuti in più per far sbollire la rabbia. Capisco che quando uno perde non è mai contento, ma la Juve non avrebbe mai permesso una cosa del genere».

    È stata una partita dura. E con il Napoli un anno fa siete andati vicini alla sconfitta.
    «All’andata, sì. Ci ha sorpreso il loro avvio arrembante. Sullo 0-2 la situazione era critica, ma tutti insieme, da vera squadra, abbiamo rimesso in piedi la partita. Non so, al nostro posto, chi ci sarebbe riuscito».

    Dov’è scattato il cambiamento?
    «Dalla mentalità: è arrivato Conte, un condottiero. Cura ogni dettaglio: per dire, pretende che ci presentiamo dopo la nazionale al 100 per cento. Umiltà e fame».

    A proposito di fame, lei com’è cresciuto?
    «Pasta in bianco e pane e nutella. Mia mamma Dorita e mia nonna Angela mi dicevano: non mangiare così che non cresci. L’effetto è stato il contrario».

    Famiglia, valori. Cosa pensa di trasmettere a suoi figli?
    «Rispetto. Per il lavoro, per il prossimo».

    Il 3 marzo, Juve-Chievo, usciva tra i fischi.
    «È passata tanta acqua, soprattutto acqua pulita, sotto i ponti. Non è facile mantenere i nervi saldi. Ma sono da Juve».

    Lei non ha cominciato come difensore.
    «Alla Viterbese ho giocato con gli allievi come centrocampista davanti alla difesa. Addirittura prima punta. Il mister Carlo Perrone mi disse: se vuoi diventare un grande giocatore devi fare il difensore centrale. Fu la svolta».

    La intervistano poco, ma è molto presente sui social network: è stato l’unico juventino a replicare a Cassano.
    «Sono del parere che si debba guardare in casa propria. Pensiamo a lavorare sodo, da professionisti, con un certo stile e dando l’esempio a ragazzini e adulti. La mia, comunque, era una risposta da tifoso. Mi scoccia quando attaccano la mia squadra».

    Sempre stato juventino?
    «Famiglia interista, io pecora nera. Ricordo ancora quando perdemmo la Champions League ’98 con un gol di Mijatovic in fuorigioco. Notte di rabbia e pianto. Quando sono andato all’Inter ho dovuto portare la ‘‘croce’’. A sentire Antonio, è uscito l’orgoglio dell’appartenenza».

    Però sarebbe divertente vedere Cassano alle prese con Conte.
    «O il mister lo cambia o lui molla dopo il primo giorno. Comunque a me Antonio sta simpatico. Diciamo solo che ogni tanto gli piace alzare l’audience».

    Lei sembra il tipo opposto.
    «A me piace il rapporto con la gente. Mi fermo a parlare, a fare una foto o a firmare un autografo. Quando qualcuno me li rifiutava, da piccolo, ci rimanevo male».

    Com’è stato l’approccio con Conte?
    «Non buono, mi sono presentato in ritiro in pessime condizioni».

    Troppo pane e nutella?
    «Troppo viaggio di nozze, 25 giorni. Ho pagato con la panchina fino a ottobre».

    Come si batte il Napoli?
    «Correndo dal primo all’ultimo minuto come quando abbiamo vinto 3-0 in casa o come a Pechino. Anche se loro, ora, hanno trovato la quadratura che non avevano: con Pandev sono ben collegati in tutti i reparti. Non sarà facile, ma se la Juve è quella del primo tempo con la Roma, diciamo la nostra anche domani».

    Che sogni le restano?
    «La Champions League, la Coppa del Mondo con la nazionale. Finché gioco, ci credo».

    E nella vita privata?
    «Una famiglia numerosa. Tre figli. Se i primi due fossero maschi, vorremmo adottare una bambina, magari africana».

    Lei è impegnato nel sociale.
    «Con Live Onlus e con l’Agop, che si occupa di oncologia pediatrica. Ho incontrato questi bambini: l’emozione è stata forte».

    Senta, non faccia gesti inconsulti, ma alla sconfitta non ci pensate?
    «Speriamo che arrivi in una partita che non conta, potrebbe anche avere anche dei risvolti positivi. Ma non domani. Più lontano è, meglio è».


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