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  • Borioni: evviva il diritto di fischiare

    Borioni: evviva il diritto di fischiare

    Ci sono stati i fischi sul campo. Quelli dello Stadium per un deludente Juve-Chievo (nella foto Diggita.it, Buffon risponde ai fischi). E ci sono stati subito dopo i fischi ai fischi, quelli metaforicamente espressi da molti commentatori contrariati per l’atteggiamento irrispettoso di certi tifosi, pronti a dimenticare in un attimo i successi ottenuti a ripetizione dalla squadra di Allegri fino all’altro ieri (e prima di ieri sera, certo).

    L’esercizio dei fischi di disapprovazione è piuttosto consueto non solo allo stadio ma anche e soprattutto a teatro, dove a sibilare la bocciatura istintiva sono in media distinti signori in abito scuro e signore in mise appariscenti, seduti tra gli altri vip del loggione e non arrampicati sulla rete della curva. Stesso discorso per le prime cinematografiche: in prima fila ci sono gli stessi attori protagonisti, il regista del film, al loro fianco tutte le autorità… Ma i fischi, se la pellicola non piace, arrivano alle spalle impietosi e trasversali.

    Già, perché uniscono tutti: lo spettatore colto e quello occasionale, il notabile della tribuna centrale e l’ultrà della curva.

    E va bene: i fischi dello Stadium durante Juve-Chievo suonavano distorti perché dopo quattro anni di recite perfette, pareva fuori luogo che gli incontentabili spettatori non tollerassero i primi comprensibili affanni di una squadra molto rinnovata e non ancora in condizione (ma poi è arrivata la vittoria di Manchester). E perché – a differenza del teatro o del cinema – nel calcio si può non solo applaudire ma soprattutto incoraggiare i protagonisti della performance, trasmettere loro il pathos, l’affetto, sostenerli e spingerli verso la rimonta e il successo. È così – dice Bonucci – che dovrebbe fare ogni buon tifoso realmente schierato dalla parte della propria squadra. È così – ha urlato Buffon – che dovrebbe comportarsi una brava curva davanti alle difficoltà dei giocatori: far sentire il proprio appoggio incondizionato.

    Già. Ma bisogna mettersi d’accordo. Viviamo immersi in un mercato totale, dove ad ogni servizio corrisponde un prezzo. Viviamo l’epoca del calcio business, quel mondo dorato e luccicante contro cui saltuariamente si solleva (esercizio vano) l’insofferenza dei tifosi nostalgici o di alcuni cronisti d’epoca, ma che pure ci regala splendide produzioni televisive, tribune vip con catering esclusivi (non a tutti), divise sociali sgargianti e desiderabili. E campioni dal talento assoluto (a volte). A pagamento, ovvio.

    E allora, se il seggiolino allo stadio è come la poltroncina vellutata nel loggione della Scala, non è così strano che il fischio – impietoso e sbrigativo – scatti alla prima nota stonata. La riconoscenza? Non è richiesta a chi paga un biglietto salato per vedere uno spettacolo annunciato. E  il pathos non è previsto in un sistema che tiene ben separati gli atleti eletti dal popolo bue. Le superproduzioni tv? Sono criptate, rivolte a un pubblico d’élite. Il posto migliore? Se si chiama “tribuna gold” un motivo ci sarà. La maglia con i colori del cuore? Attenzione (a parte che costicchia), spesso quei colori declinano in combinazioni bizzarre imposte dallo sponsor tecnico di turno. E schifate dai fan. Non a caso in Inghilterra i tifosi del Newcastle e del Blackpool sono arrivati a boicottare le maglie ufficiali dei loro club, autoproducendo divise classiche che hanno riscosso grande successo.

    Ma quello british è un mondo a parte (voi esagitati guardatevi il video dei tifosi del Celtic che cantano “I just can’t get enough” dei Depeche Mode, e tacete). Qui dobbiamo fare i conti con la “memoria corta” che vale anche per questioni più importanti. Qui siamo alle prese con gli eccessi di curve capaci talvolta di impedire ai giocatori stessi di scendere in campo, oppure di spingerli a simulare infortuni pur di rispettare le direttive dei capi clan, oppure di costringerli a sfilarsi quelle stesse maglie, griffate ma pur sempre espressione di sentimenti, che da autentici diventano malati.

    E allora è inutile indignarsi per i fischi, sebbene irrispettosi e frettolosi. Siamo onesti, chi paga per un servizio, protesta se non lo ritiene adeguato. I problemi sono ben altri, nel nostro calcio. 

    Viva il diritto di fischiare. Ma con un distinguo fondamentale: viva anche il diritto di sbagliare

    Luca Borioni 

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