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Ecco il club milionario dei supertecnici

Ecco il club milionario dei supertecnici

Esiste un club di supertecnici, una cerchia esclusiva di allenatori top strapagati e contesi dai club più munifici del mondo. Ne fanno parte pochi eletti. Tre, il numero perfetto.

José Mourinho, per esempio. E non importa che sia reduce dalla fallimentare gestione-bis al Chelsea (dopo la precedente e non troppo esaltante esperienza al Real Madrid). Questo dimostra che al club dei supertecnici si accede sì per meriti acquisiti sul campo ma non necessariamente compresi nel curriculum. Non contano cioè i trofei vinti, o meglio non solo quelli, ma anche se non principalmente l’immagine, la nomea – quella sì vincente – dell’allenatore in questione, conta il suo brand (come direbbe un qualsiasi - sempre super - manager).

Mourinho fa parte del club, perché in passato ha vinto una Champions con il Porto, poi soprattutto con l’Inter ripetendosi nel contesto di uno storico triplete. Il suo stile ne ha fatto un personaggio assoluto, per certi versi unico, all’inizio lanciato dal suo procuratore Jorge Mendes nell’orbita internazionale e in quella, soprattutto, del magnate russo Roman Abramovich. Ma ben presto Mou ha iniziato a brillare di luce propria, abbinando grandi ingaggi pubblicitari agli ancora più sfavillanti ingaggi sulle panchine di turno (l’ultima annualità a Londra gli è valsa una quindicina di milioni di euro).

E ora per il portoghese, sempre più legato al calcio inglese, si parla di Manchester United come prossima e probabile destinazione. Là dove prenderebbe il posto di Louis van Gaal, altro allenatore superstar in fase però calante, da inserire nel pensionato dei superallenatori assieme ad esempio – con rispetto eh - a Capello.

Nel super club dei tecnici troviamo di diritto anche il nostro Carlo Ancelotti, mister tre Champions. In comune con Mourinho vanta due tappe del circuito milionario: Madrid sponda Real e Londra sponda Chelsea. In più l’ex milanista può vantare un invidiato passaggio alla corte degli sceicchi qatarioti del Paris Saint Germain. Non solo, è stato già annunciato il suo prossimo approdo verso l’ultima roccaforte europea da lui non ancora toccata: il Bayern Monaco. Qui gli lascerà il posto un altro dei super, ovvero Pep Guardiola. Il maestro del tiki taka, il padre putativo del Barcellona marziano a sua volta destinato – così pare – a fare il suo ingresso nel circo della Premier League, destinazione Manchester City. Altra multinazionale del football.

Curioso notare come tutti e tre gli allenatori-monstre abbiano avuto a che fare con il calcio italiano. Oltre all’emiliano e italianissimo Ancelotti - ex centrocampista di Roma, Parma e Milan poi sulle panchine dello stesso Parma, della Juve e ancora del Milan – ricordiamo tutti il Mourinho “io non sono un pirla” mago interista ed erede di Herrera all’Inter, così come non possiamo sottovalutare l’esperienza formativa di Guardiola da giocatore con la maglia del Brescia e della Roma, da lui stesso ritenuta preziosa sulla strada della professione di allenatore.

Qui spunta il quesito: un membro del super club degli allenatori approderà mai su una panchina di serie A? A meno di non voler comprendere nell’elite anche Benitez… (ma che ne pensano i tifosi del Napoli?)

È vero che l’Italia è diventata la patria dei modelli da imitare in fatto di guide tecniche (ricordiamo che Ranieri, un altro che ha girato il mondo pur senza lasciare il segno al top – vedi Chelsea – è al comando della Premier League con il Leicester) e che, come detto, la parabola dei tre big è partita proprio dalle nostre parti, ma il fatto che nessuno dei nostri club di vertice possa immaginare di offrire un contratto a Mou, Ancelotti o Guardiola è significativo del gap (forse solo economico, ma pur sempre un gap) che resiste tra il nostro calcio e quello delle sorelle d’Europa.

Da qui solo treni in partenza. Prossime prenotazioni: Conte e Allegri.

Luca Borioni

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