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  • Borioni: Mancini-Allegri, che sfida

    Borioni: Mancini-Allegri, che sfida

    Il calcio inglese propone storicamente, tra gli altri, il modello dell’allenatore manager. Una figura che invece, da queste parti, non ha mai avuto ragione d’esistere per la presenza altrettanto storica del direttore sportivo, dirigente con competenze tecniche deputato ad occuparsi del calciomercato su delega del direttore generale e più o meno d’intesa con l’allenatore. Ma un bel giorno è arrivata l’epoca degli allenatori italiani all’estero, in Premier soprattutto, ed è cominciata la contaminazione. Fino a Roberto Mancini, il più manager dei mister italiani.

    Com’è come non è, il Mancio non sbaglia mai. Va solo dove gli permettono di impostare un lavoro basato su sue precise indicazioni. Lui fornisce gli identikit dei giocatori richiesti - anzi fa nomi e cognomi inequivocabili - e le dirigenze eseguono. Nel senso che spendono, molto. L’impresa che a Manchester, sponda City, gli aveva permesso di ottenere significativi successi, gli è riuscita anche all’Inter, con non poca sorpresa di chi aveva creduto fino a quel punto che Thohir meditasse una campagna acquisti morigerata, ispirata al fair play finanziario, compressa da precedenti esposizioni. Invece pronti, via e per Kondogbia sono stati partiti quasi 40 milioni. E così via fino a concludere l’elenco dei famosi nove nomi indicati dallo stesso Mancini. Che ha ottenuto la squadra muscolare e caratteriale dei desideri, indubbiamente una squadra da scudetto.

    Dicono che un allenatore-manager non potrebbe mai sedere sulla panchina della Juventus. Difficile immaginare una dirigenza strutturata e radicata ad una proprietà forte come quella bianconera pronta a piegarsi ai voleri di un qualsiasi tecnico. Non a caso quando – prima di Conte – proprio Mancini entrò nel novero dei candidati alla panchina della Juve, fu proprio la nomea delle sue ingerenze in area societaria a metterlo fuori gioco. E non a caso Conte stesso, all’apice delle vittorie in campionato e spinto da smisurate ambizioni manageriali, arrivò allo scontro frontale con il club e con Casa Agnelli, fino alle sue dimissioni epocali. E alla conseguente sistemazione sull’unica panchina che potesse in quel momento garantire al tecnico leccese una prospettiva appunto manageriale oltre che di campo: quella della Nazionale. Ma è questione di essere manager all’inglese o tecnici di carattere? Il confine, se esiste, è sottile.

    Sta di fatto che in questo campionato appena iniziato con la doppia falsa partenza juventina e lo scatto programmato dell’Inter, assisteremo a un confronto tra stili contrapposti. Perché se Mancini ha chiesto e ottenuto il materiale ordinato, Allegri si è via via adattato al lavoro di dirigenti di successo ed esperienza come Paratici e Marotta. E l’impressione è stata che mentre da una parte si procedeva leggendo il libretto di istruzioni e si metteva la spunta ai nomi acquisiti, dall’altra si faceva anche ricorso all’improvvisazione pur di adattare i nomi raggiunti agli identikit inseguiti. Perché il mercato è imprevedibile e difficilmente governabile. Le prime due giornate di campionato sono servite a Mancini per mettere ordine e fare esercizio di concretezza. Allegri invece, condizionato da infortuni e mercato aperto, ha gestito la situazione contingente secondo un'attitudine di successo, ma non ha fatto scelte, ha preso tempo puntando su vecchie certezze (Padoin, il 3-5-2…) piuttosto che sperimentare subito le innovazioni che la rivoluzione del mercato avrebbe imposto, ed è rimasto a quota zero.

    Ora si ricomincia e parte un campionato nuovo, con una verifica tosta per la Juve (il Chievo quest’anno sembra aver compiuto un piccolo ma significativo salto di qualità, e poi ci sarà il Manchester City) e l’attesa di conferme dall’Inter, nuova favorita del momento. Con la Roma subito dietro. In giallorosso vige il modello classico: un direttore sportivo creativo come Sabatini e un allenatore che sa lavorare sul materiale che ha. Stili contrapposti, spesso altrettanto efficaci. E allora davvero, più che una questione di manager o non manager è un problema di spessore professionale. Per vincere in Italia ci vuole carattere, tanta personalità. Quella che lo stesso Allegri ha dimostrato la scorsa stagione governando una Juve-super. Quella che dovrà ribadire quest’anno mentre sullo sfondo si allontana l’ombra un po’ fastidiosa e un po’ protettiva di Conte.

    Luca Borioni

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