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  • Bucciantini: quelli che ritornano nella povera Serie A

    Bucciantini: quelli che ritornano nella povera Serie A

    • Marco Bucciantini
    La Serie A cerca un po’ del suo passato, che fu migliore del presente: Cerci è già tornato, Nastasic forse, Lavezzi e Sneijder sono suggestioni non troppo distanti. Gente che è partita e che in fondo – con destini diversi – ha solo dimostrato quanto il nostro torneo fosse più povero. Il protagonismo di qui non è quasi mai stato altrettanto di là. A corto di idee, di scouting e di quattrini, i dirigenti preferiscono rimuginare anziché intuire. Le nefandezze dell’ultimo mercato chiedono adesso rimedi sicuri, già provati. Comunque, al netto di questi riccioli della mente, sono calciatori che accrescerebbero il livello delle squadre di destinazione.

    Cerci, per fare un esempio che ci anima di curiosità, potrebbe arieggiare a destra il Milan, in un tridente con El Shaarawy (o Bonaventura) a sinistra e Menez al centro, libero di collocarsi. Idea bella, coraggiosa, fantasiosa, veloce: una sfida per Inzaghi e un’occasione per rinfrescare anche il modo di attaccare delle nostre squadre.
    Con loro suddetti, anche gli altri nomi in circolazione aiuterebbero a rinnovare l’abbonamento (allo stadio, alla tv): da Shaqiri a Podolski, per dire della merce che più manca alle nostre squadre, quei giocatori capaci di attaccare l’area di rigore dall’esterno, con destrezza palla al piede, o in movimento senza palla (come Cerci e semmai Lavezzi, anche): sono attaccanti moderni che lavorano molto con la squadra, e impegnano i difensori in molte zone, e non danno punti di riferimento. Chi li ha, può pensare e costruire una squadra in un certo modo. Chi non li ha, si schematizza su manovre scolastiche, verso il centravanti, o chi per lui. Certo, devono assicurare quantità da attaccanti: gol, assist, punizioni procurate, corner, e così via.

    Podolski e Shaqiri sono in due momenti polari della carriera, ma entrambi devono (ri)trovare quella quantità numerica indiscutibile, che passa dalla loro presenza in campo, ultimamente e per motivi diversi un po’ negata.

    La Roma che invece abbonda di attaccanti sul perimetro dell’area (e dovrebbe fonderli, per avere quell’asso di livello assoluto…) cerca numeri sicuri, alla Martinez. Il messaggio è chiaro: Destro non è ritenuto in grado di giocarsela in una grande squadra, con obiettivi massimi. Il ragazzo è mancato nel salto di qualità. La pesante presenza di Totti ne ha però condizionato il minutaggio, e questo va ricordato. Martinez ha un curriculum in grado di permettere a Garcia anche l’affronto più difficile: togliere il capitano dai turni dei titolari. A noi sarebbe piaciuta un’altra presa di coscienza: il gioco di contrattacco per far correre gli esterni merita insistenza. E merita anche giocatori in grado di realizzare quest’intento. Ci sono, rispetto ad altre rose, ma non riescono a diventare i veri protagonisti della squadra. Ljajic (il più puro, tecnicamente) si accende e si spegne come una lampadina sotto un temporale. Iturbe non si è incastrato, avendo pochi metri per esplodere, secondo vecchie abitudini. Su Florenzi c’è troppo pudore: vale più di come lo usano. E se in Campionato Gervinho – il più titolare di tutti – ha una media gol nettamente inferiore alla sua media voto, non è colpa di Destro (che come media, tutto sommato, ci sarebbe). Gervinho (per sua bravura) è il terminale del 70% delle azioni della Roma: anche perché una volta coinvolto, non vede più gli altri, ma fa da sé. Questa quantità nella partecipazione deve essere onorata con le reti, sennò Martinez farà come Destro: guarderà l’ivoriano correre, dribblare, tirare. Però è indubbio che adesso Martinez è una spanna sopra l’italiano: Garcia e la dirigenza della Roma mirano al guadagno rapido, netto.

    Il mercato di gennaio dunque promette qualcosa, anche se i tifosi hanno ormai sviluppato autodifese verso le illusioni. Per dire: sono passati pochi mesi dall’ultima infornata. Un fiasco, un colpo mortale ai sogni. Se adesso bisogna riparare è perché allora si sono fatti clamorosi errori di valutazione. Gente inutile, anche strapagata, comprata senza avere un’idea precisa di come poterla impiegare. Di Torres abbiamo scritto millanta volte, e qualcuno nei commenti ci rimproverava la sicumera: ma non poteva esaltarsi in una squadra che arriva in area per strade che mortificano la presenza di un centravanti. O corse esterne, o esercitazioni di stile di Menez. Il tempo giusto per servire lo spagnolo non c’era mai. Come succede a Iturbe, abituato a iniziare lui l’azione nel Verona, o al massimo a ricevere il primo passaggio del disimpegno, per trasportare la palla in avanti. A Roma gli tocca il sesto, settimo passaggio. E se c’è un contropiede veloce, se lo intesta Gervinho. Ma è giovane, imparerà ad attaccare l’area anche in altri modi. E la Juventus, che adesso cerca il trequartista (Sneijder) o l’esterno (Shaqiri) non aveva comprato Pereyra proprio perché doveva essere lui il giocatore fra le linee? 

    L’Inter non solo ha disperso i suoi acquisti estivi (o vivacchiano in ruoli marginali), ma ha anche ridimensionato l’impatto di Hernanes, il mitico colpo dell’ultimo gennaio, colpevole di non aver ancora deciso il suo posto in campo: discontinuo per fare regia, poco voglioso di svariare per partecipare ai giochi d’attacco.

    Il Napoli ha poco da rimpiangere, perché poco (sostanzialmente) aveva fatto. Il migliore acquisto sembrava essere Insigne, finalmente titolare, con merito, con numeri giusti. Adesso c’è Gabbiadini che può diventare un leader del calcio italiano, se sfrutta l’occasione: il sinistro ce l’ha, la personalità deve farla vedere.

    Montella invece ha tirato una riga decisa sull’ultima campagna di rafforzamento: a parte Basanta, non ne fa giocare nemmeno uno. Tolte certe marchette esotiche (Brillante, Octavio), furono tre i giocatori mirati: Badelj, Richards, Marin dovevano elevare il livello dello squadra. Rimpiazzando magari titolari approssimativi o logori. Sono già al chek-in di Peretola, dove potrebbero incrociare Mutu, rieccolo, anche lui è uno che potrebbe ritornare. Dalle catacombe, però.

     

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