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  • Calcio, dove vai?

    Calcio, dove vai?

    Ieri ha telefonato in redazione un caro amico e collega: voleva sapere dove vedere in tv l’amichevole della Lazio. «Sono in crisi di astinenza», si è giustificato. Già, il calcio ha ancora questa fortuna, in tempi di crisi generalizzata: di avere un ampio zoccolo duro di appassionati cui basta veder rimbalzare un pallone, purché sia. Disposti a pagare per una poltrona davanti alla tv, sempre più restii invece a sottoporsi all’avventura (sventura?) di stadi scomodi, possibili intemperie, violenze sparse, posteggi lontani, partite serali e levataccia del giorno dopo.

    I gestori del pallone italico ci sguazzano a meraviglia. Il botteghino è un optional, per i milioni della tv va bene qualsiasi acrobazia: spezzettare il campionato, spalmarlo in quattro giorni alla settimana, giocare sempre più in prima serata o appunto a mezzogiorno della domenica così da plasmare perfino le abitudini di una vita sul business imperante. Il sorteggio dei calendari di mercoledì sera, trasformato in stucchevole kermesse, con tanto di passerella padronale e dotte dusquisizioni sugli Ufo di Zamparini, è stato solo il primo assaggio. Quest’anno le telecamere entreranno negli spogliatoi, ci godremo imperdibili impressioni a caldo dei protagonisti fra il primo e secondo tempo (tipo “cercheremo di difendere il risultato” oppure “faremo meglio nella ripresa”), ci divideremo su moviola sì o no, dimenticando fino al primo gol fantasma l’unica che servirebbe davvero, quella in campo.
    E’ questo il futuro del calcio? C’è una nazionale che non traina e non affascina, povera com’è di talenti italiani, ma la Lega calcio è offesa perché non potrà avere una decina di extracomunitari sconosciuti in più, nomi esotici di costo limitato. I giocatori minacciano scioperi perché non vogliono tornare a giocare il giorno dell’Epifania, dopo due settimane e mezza (e non tre) di vacanza. Il nuovo contratto collettivo, appena scaduto, è priorità assoluta su cui accapigliarsi, mentre categorie ben più provate devono attenderlo per anni. I club minori, quelli delle città di provincia, non riescono più a iscriversi ai campionati e si assiste anche a doppi salti di categoria per ripescare i “benestanti” a dispetto di qualsiasi merito sportivo, invece di cogliere l’occasione per una riforma radicale, che riduca il numero delle squadre e imponga l’utilizzo di una quota massiccia di giovani. E parliamo solo della parte emergente dell’iceberg.
    Ci hanno colpito, l’altra sera, le affermazioni del presidente del Napoli De Laurentiis, uomo di spettacolo prima che di sport. In sostanza: basta con le nostalgie del passato, avanti con le innovazioni autonome, facciamoci da noi anche i tornei europei. Tutto bene, ce l’hanno detto: cosa conterà mai la classifica rispetto a un bacino d’utenza? Altro che Champions o Europa League, vuoi mettere un bel quadrangolare con Manchester, Bordeaux e Real Madrid, ricchi premi e cotillon, con veline di contorno? Tutto rigorosamente in pay per view, pagare per vedere. Ricchi sì, ma non scemi. Se Ronaldinho mi costa un botto e i nuovi Ronaldinho vanno cercati con fatica, mica vorrete che ci rimetta?
    Verrebbe da chiedersi come ha fatto il calcio ad arrivare fin qui, se un tempo Rivera e Mazzola potevi andarteli a sognare solo allo stadio. Se oggi uno cita la radiolina e il Calcio minuto per minuto, e le partite tutte alla domenica pomeriggio, e i figli per mano ai genitori e la loro felicità nel salire i gradoni dello stadio con l’apparire di colpo di quell’immenso prato verde, viene preso per matto retrogrado, per visionario anche un tantino reazionario. Però quella passione che fa ancora andare in crisi di astinenza nasce da lì, da quelle generazioni. Oggi i bambini, per loro fortuna, hanno trovato altre occupazioni. Alle 20,45 vanno a giocare al computer. Gli importa poco delle solite facce di dirigenti e allenatori che polemizzano davanti alle telecamere nel pre, nel durante e nel dopo partita. Totti lo vedono negli spot, Zarate non lo vedono mai. E a rincorrere loro un pallone, anche solo per emulazione, neanche ci provano volentieri. Pensate che un imprenditore del calcio possa mai occuparsi di loro, di coltivare i “clienti” che verranno, se considerano già i vivai solo una seccatura cui devolvere un ventesimo dei loro introiti? Tanto loro, i padroni del vapore, fra qualche anno avranno frantumato il giocattolo e neanche ci saranno più. Sarà un miracolo se il calcio sopravviverà e qualcuno si prenderà la briga di ridargli la dignità di sport.


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