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  • Moratti spende più di Berlusconi e Agnelli: scudetto dei bilanci al Napoli

    Moratti spende più di Berlusconi e Agnelli: scudetto dei bilanci al Napoli

    Napoli regina dei bilanci, maglia nera per l'Inter: in arrivo i partner cinesi.
    Nel libro di Mauro Bottarelli "Spread & Pallone", presentato di recente a "Quelli del Lunedì" (trasmissione condotta da Dario Donato su Class CNBC), si parla del pericoloso rapporto tra totale attivo/patrimonio netto di molti club (non solo italiani). Bottarelli fa riferimento, tra l'altro, al risultato di questa "leva finanziaria", che ha mandato a gambe all'aria, come spiega a pag.37 del suo libro, la Lehman Brothers sotto i colpi dei titoli "tossici" e dei mutui subprime. Ovvero un indice pari a 18:1. Troppo anche per il colosso finanziario LB, che nel settembre 2008 dichiarò fallimento e debiti per 613 miliardi di dollari.

    Partendo da questa interessante riflessione abbiamo preso in considerazione i bilanci di sei club italiani, analizzando i top club per eccellenza (quelli nuovi come l'Ssc Napoli, ma anche le società quotate in Borsa e/o quelle che hanno vinto uno scudetto dal 2000 ad oggi). E' bene ricordare però che la struttura dei bilanci degli istituti di credito non è comparabile al 100% a quelli del comparto industriale,. Nonostante ciò la tabella allegata può creare dibattito e una serie di riflessioni tecniche tra gli addetti ai lavori.

    Il commercialista barese Luca Marotta, specializzato nell'analisi di dati di bilancio, è riuscito a creare una tabella dove è possibile analizzare proprio il peso di questa pericolosa leva finanziaria (quinta colonna da sinistra: Attivo/PN). Valori positivi bassi dell’indicatore evidenziano una maggiore capitalizzazione dell’azienda e, di conseguenza, possono essere considerati un segnale di solidità strutturale. Ad esempio un valore pari a 2 significa che il 50% dell’attivo è finanziato con mezzi propri. Valori negativi dell’indicatore segnalano la necessità di nuovi apporti di capitale, perché c’è stata erosione.

    Il club con il miglior rapporto è il Napoli SSC con 3,76:1 seguito dalla Juventus, fresca di titolo di campione d'Italia e di recente ricapitalizzazione, che presenta un 6,62:1. Più delicata la situazione della S.s. Lazio con 12,63:1. In territorio negativo, e quindi con la necessità di apporto di nuovo capitale, troviamo: l'A.s. ROMA con -3,16:1; seguita dal Milan con -4,72:1 e dall'Inter con il dato peggiore -18,85:1. Persino superiore, stante la valutazione tecnica fatta dal giornalista Bottarelli, a quella di Lehman Brothers pre-fallimento. C'è da sottolineare, però, che l'Inter già da un biennio ha deciso di aderire con forza al progetto del FairPlayFinanziario di Michel Platini (presidente UEFA) e ha portato dentro alla compagine societaria un importante partner cinese (particolarmente interessato alla costruzione di un nuovo stadio). Questi due elementi dovrebbero consentire ai nerazzurri di migliorare, nell'arco del prossimo biennio (soprattutto se sarà tenuto sotto controllo il livello del monte ingaggi dei dipendenti/calciatori), questa situazione economico-finanziaria.

    Per quanto riguarda l’AS Roma, il debito del club (superiore a 54 mln di euro) è raddoppiato rispetto alla precedente stagione (sotto l'egida della famiglia Sensi), i ricavi sono scesi nettamente e il fatturato è di poco superiore ai 115 milioni di euro. C'è da considerare che mancano all'appello sicuramente le revenue prodotte dalla partecipazione alla Champions league, ma non c'è al momento (sulla base dei risultati raggiunti: 11 punti, di cui 3 ricevuti a tavolino) la certezza dell'iscrizione alla prossima edizione del torneo Uefa per club (Juve e Napoli sembrano già avviate ad occupare i primi due posti; rimarrebbe il posto da preliminare-Champions, ma il caso Udinese ha dimostrato che non è un passaporto obbligato per il torneo a 32).

    La squadra giallorossa presenta, tra l'altro, una singolare lievitazione dei costi del monte-salari (oltre 93 mln di euro secondo una analisi della Gazzetta dello Sport), nonostante che, ad eccezione di Totti e De Rossi, non abbia al suo interno dei veri top player, ma solo delle potenziali promesse (Castan, Lamela, ecc.) e giocatori provenienti dal vivaio (come nel caso di Florenzi). All'orizzonte c'è l'idea, entro il 2016, di costruire un nuovo stadio (si presume nell'area di Tor di Valle, coinvolgendo nell'operazione il costruttore romano Parnasi in cambio di azioni della società), ma manca all'appello la legge sugli stadi (di cui si sta occupando personalmente il deputato FLI Claudio Barbaro), che dovrebbe ridurre drasticamente a 3 gli anni per l'inaugurazione di un impianto.

    Pertanto i 4 anni annunciati dal presidente James Pallotta, sono sicuramente un suo desiderio, ma di difficile attuazione in un Paese come l'Italia e in una città come Roma, dove si va, tra l'altro, verso una tornata elettorale che non confermerà l'attuale sindaco Gianni Alemanno (nonostante quest'ultimo professi la serenità e la tranquillità del vincente). Quindi passerà almeno un anno solo per chi capire chi della sinistra (probabile compagine vincitrice) dovrà occuparsi di questa operazione che impatterà sul territorio di Tor di Valle (senza considerare il fuoco di sbarramento di Lega Ambiente, sempre molto attenta a potenziali iniziative di speculazione edilizia). A Pallotta e soci (inclusa UC) toccherà quindi andare più volte a ricapitalizzazione, in attesa di questo progetto (sempre che si faccia) e di potenziali vittorie in ambito sportivo (dove al momento non ci sembra che ci sia grande spazio a partire dall'ambito nazionale).

    Di contro l'A.s. Roma promette l'internazionalizzazione del brand (soprattutto nel continente nord-americano) e accordi di partnership con parchi tematici come l'ESPN di Orlando, di proprietà della Walt Disney. L'idea è sicuramente suggestiva, ma per il momento il marchio As Roma appare, come risulta dal sito del suddetto parco, nelle vesti di "sponsor" (quindi si deve evincere che è la Roma che paga i gestori del parco e non il contrario).

    E' chiaro che l'A.s. Roma intende sfruttare questa operazione per farsi conoscere all'estero, sperando di poter recuperare i soldi dellasponsorizzazione dalla cessione dei diritti tv delle partite all'estero (a partire dal mercato italiano) e dall'ingresso di qualche nuovo sponsor. Ma si tratta sempre di un'operazione tutta da capire sotto il profilo della sostenibilità economica. Quello che appare abbastanza visibile in tutti questi sei club è la ricerca di nuove forme di ricavi, ma ad eccezione della Juve, nessuno dei restanti 5 può vantare uno stadio di proprietà. Insomma come spesso succede in Italia ci si "sveglia" quando ormai è troppp tardi e ogni anno che passerà allargherà il gap tra il calcio italiano e quello del resto dei Paesi. Il nostro è al quarto posto per volume d'affari secondo l'importante agenzia Brand Finance, ma dietro cresce la Francia, il Portogallo e la Turchia e nei prossimi 5 anni potremmo essere fuori non solo dal podio virtuale (già lo siamo oggi), ma anche dalla top 5 europea. Un disastro per diritti tv, sponsorizzazioni, ricavi da stadio e merchandising. E' positivo quindi che i nostri top club si siano svegliati, ma c'è da chiedersi se non sia troppo tardi, considerando che sul tema degli stadi e della tutela dei marchi (soprattutto se si parla di merchandising) si parla molto ma si fa ancora molto poco (c'è un ddl con firmatario Giovanni Lolli neppure calendarizzato alla camera dei deputati).

    di Marcel Vulpis

    (direttore responsabile dell'agenzia Sporteconomy ed economista con specializzazione in sport-business A.E.I. Associazione economisti d'impresa)
     

    RASSEGNA STAMPA 
    In testa Moratti, poi Berlusconi e Agnelli: inchiesta sui costi del calcio italiano.
    Come spendere 2,5 miliardi e vivere felici e scontenti.
    E' il totale sborsato dai dieci patriarchi del pallone per le rispettive società.

    Ora che il mecenatismo italiano è andato in crisi, ora che Berlusconi e Moratti si sono convertiti all'austerity, vien da tremare a sentire questa cifra: 2,5 miliardi di euro. È quanto i dieci grandi patriarchi del calcio tricolore hanno sborsato per le rispettive società, da quando hanno messo piede in questo mondo a oggi. Il calcolo preciso fa 2.483 milioni e si riferisce a tutti gli apporti in conto capitale, sotto forma di versamenti o ricapitalizzazioni, che si sono resi necessari per tenere in vita il giocattolo. Tradotto: senza quei soldi il pallone del Belpaese, così come lo intendiamo, non ci sarebbe. Moratti nell'Inter, Berlusconi nel Milan, Agnelli nella Juventus, Garrone nella Sampdoria, Della Valle nella Fiorentina, Preziosi nel Genoa, Zamparini nel Palermo, Pozzo nell'Udinese, De Laurentiis nel Napoli, Lotito nella Lazio: la nostra ricerca si concentra su questi proprietari, in rigoroso ordine di «generosità». Domanda d'obbligo: e la Roma? Nella capitale, sponda giallorossa, il tramonto del mecenatismo all'italiana si è già consumato, con l'addio dei Sensi e il subentro degli americani fiancheggiati da UniCredit. Il ricorso a capitali stranieri non dovrebbe chiudersi qui, a giudicare dalle dichiarazioni di intenti di questo o quel presidente, sempre più fiaccato dalla crisi, sempre più stanco di un sistema squilibrato.

    Bravi a macinare profitti col petrolio, le tv, la moda, i giocattoli, i supermercati, i nostri dieci super-imprenditori hanno agito fuori dalle regole del business — con le dovute eccezioni — dal momento in cui si sono spinti a diversificare le loro attività includendovi il calcio. Che è uno spettacolo bellissimo, accende le passioni, vanta un giro d'affari da colosso industriale. E tuttavia dimentica troppo speso le elementari regole dell'economia (285 milioni le perdite della Serie A nel 2010-11). Certo, nessuno fa beneficenza. Quando il paperone di turno drizza le antenne verso un rettangolo verde, è mosso (quasi) sempre da un secondo fine. Perché il palcoscenico del più grande fenomeno di massa della penisola garantisce visibilità e privilegi, asseconda manie di grandezza, in alcuni casi (prendete il consolidato fiscale) consente pure qualche vantaggio pecuniario. Nessuno, per esempio, riuscirà a stabilire un saldo tra il dare e l'avere dell'avventura più lunga e insieme più emblematica, quella di Silvio Berlusconi nel Milan, le cui vicende si sono intrecciate inestricabilmente con la politica e gli affari. Ma, in fin dei conti, chi compra una squadra di calcio — in Italia soprattutto — sa bene che difficilmente ci guadagnerà.

    L'ultimo quarto di secolo ha raccontato, comunque, storie differenti. Prendete le tre big. Berlusconi, che ha acquistato la società rossonera nel 1986, in 26 anni ha sborsato quasi 600 milioni di euro per assicurare la continuità aziendale del club. Gli amministratori della stragrande maggioranza dei club avvertono sempre: «Il socio di riferimento ha espresso il consueto impegno a supportare anche per il futuro, in caso di necessità, economicamente e finanziariamente la società e su tale presupposto è stato redatto il presente bilancio d'esercizio». È così per il Milan, è così soprattutto per l'Inter: dal 1995 gli interventi dei soci sul capitale nerazzurro sono ammontati addirittura a 1.160 milioni. Massimo Moratti ha tirato fuori di tasca sua oltre un miliardo. Adesso, sia il rossonero che l'interista hanno detto basta avviando (soprattutto il primo) una pesante opera di risanamento. Per la Juventus è un po' diverso. La quotazione in Borsa del 2001 ha portato nelle casse dell'Ifi, la holding di casa Agnelli, 100 milioni, destinati a risollevare le sorti dell'allora agonizzante Fiat. Nel post-Calciopoli si è proceduto a due aumenti di capitale, per un totale di 225 milioni: 141 sono stati garantiti dalla Famiglia, il resto dal mercato e, in minima parte, dai libici. Volendo fare un confronto fra i tre grandi magnati del calcio, si scopre che, dal 1986, a fronte dei 600 milioni di Berlusconi e del miliardo di Moratti, gli Agnelli ne hanno spesi 214.

    Immediatamente sotto, due capitani d'industria come Garrone e Della Valle. In 11 anni il primo ha assecondato le ambizioni della Sampdoria al prezzo di 181 milioni, un po' di più dei 165 versati nel forziere della Fiorentina dal secondo. Non hanno mostrato il braccino corto nemmeno Enrico Preziosi (64 milioni al Genoa) e Massimo Zamparini (59 milioni al Palermo). Ma c'è pure chi va controcorrente: presidenti che sono riusciti a tenere i conti in ordine evitando di intaccare le loro risorse personali. Il primato spetta a Claudio Lotito. Per assumere il controllo della Lazio (al 67%) ha investito 21 milioni tra il 2004 e il 2006, ma i costi di acquisizione sono esclusi dai nostri calcoli. Mai il patron biancoceleste è dovuto intervenire in conto capitale per soccorrere il club. Lo ha imitato, a parte le prime difficili stagioni, Aurelio De Laurentiis. E sostanzialmente pure Gianpaolo Pozzo (20 milioni diluiti in 26 anni). Mosche bianche.

    Versamenti o aumenti di capitale dei soci in milioni di euro.

    Inter (Moratti): 1160
    Milan (Berlusconi): 593
    Juventus (Agnelli): 225
    Sampdoria (Garrone): 181
    Fiorentina (Della Valle): 165
    Genoa (Preziosi): 64
    Palermo (Zamparini): 59
    Udinese (Pozzo): 20
    Napoli (De Laurentiis): 16
    Lazio (Lotito): 0
    Il caso della Roma squadra aperta: dalla perdita dei Sensi allo sbarco americano.
    (Gazzetta dello Sport)


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