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  • Cassano-Balotelli| Non stonano in azzurro

    Cassano-Balotelli| Non stonano in azzurro

    Si abbracciano davanti alle telecamere. E giocano composti, quasi seri: meritano l'appello.
    Cassano-Balotelli, gli ex ribelli cantano l'inno e non stonano.
    Loro lo sanno tutto l’inno di Mameli, la generazione degli irrequieti, dei ribelli, di quelli che se non mettono la testa a posto finiscono nei guai, dei ragazzi di strada maleducati, eccessivi e indecenti, che sparano con le scacciacani nel centro di Milano e non sopportano Lippi, cantano Fratelli d’Italia parola per parola come se fossero alla festa della Repubblica nei giardini del Quirinale. Seri, composti, finalmente al centro di quella scena da cui li avevano buttati fuori a calci nel sedere perché nella caserma Italia la disciplina era più importante del talento.

    Adesso che Mario Balotelli e Antonio Cassano si abbracciano mentre la telecamere riprende dal basso i loro occhi seri e i capelli tagliati di fresco, è chiaro a tutti che il mondo si è messo a girare al contrario. Forse dalla parte giusta. La rivoluzione dei cattivi ragazzi, invocati da un Paese intero, convocati da Cesare Prandelli, scelti per cancellare la figura indecente del mondiale sudafricano e per dimostrare al pianeta che gli azzurri hanno ancora un senso, che la nostra scuola non è morta, finalmente è iniziata. Sarà un cammino lungo.

    Qui ad Upton Park, periferia di Londra, tempio ancora devoto alla creativa follia di Paolino Di Canio, stesso dna elettrico del nuovo tandem prandelliano, la pioggia scende fitta e senza sosta e gli undicimila tifosi italiani hanno occhi solo per loro, per le scarpe arancioni di Fantantonio e per il nero gigante bambino che l’Inter non vuole più e che l’Inghilterra aspetta a braccia aperte, perché nei suoi piedi, nel suo cuore e nel suo istinto selvaggio non ci sono solo tecnica, forza ed energia, ma anche la matematica certezza di essere un predestinato. A 19 anni ha appena cominciato il suo cammino verso la cima della montagna. Meno Corona e più Prandelli gli daranno una mano ad arrivare in cima.

    Per Cassano è un’altra cosa. Il barese all’età di Balotelli aveva tutto senza avere niente, la scintilla del genio con lo spirito di uno scapestrato dilettante allo sbaraglio. Si è ripreso il suo spazio con lentezza, ma ora che gli anni sono quasi ventotto e in bacheca ha messo solo rimpianti, non gli resta che questa ultima strada per dimostrare che la sua storia non era un bluff. Prandelli gli ha appoggiato la spada sulle spalle: «Sei tu il mio Lancillotto». Un rischio o una scommessa calcolata? Ce le ha le spalle larghe del leader? E’ in grado di fare da collante nello spogliatoio, di riuscire a cantare «Cassano è uno di noi» e non restare soltanto «uno di lui»?

    L’esperimento in coppia dura un’ora esatta e anche se sul confine dei cambi - con Balotelli che se ne va per primo al quindicesimo del secondo tempo - la Costa d’Avorio si prende la soddisfazione di passare in vantaggio, il primo assaggio del nuovo corso in fondo non è male. Il barese, con il dieci sulle spalle, crea, Balotelli prova il colpo di grazia. Tatticamente sono inappuntabili. Fantantonio fa il trequartista e gioca profondo, in verticale, Supermario sta più largo, a sinistra, cerca la porta su punizione con una botta spaventosa da venti metri e copre sulla fascia come un terzino di vecchia scuola. Non litiga con nessuno, non si ribella, prende calci e gira la schiena, non la vuole dare a nessuno la soddisfazione di dire: visto che è sempre il solito? Niente di eccezionale in questa notte di agosto, ma tutto con misura, perché lo sa che presto verrà il tempo di lasciarsi andare.

    Cassano invece sta al centro di tutto, il senso del gioco passa dai suoi piedi ed è chiaro che questa prima volta non può essere perfetta. Cerca spesso il gigante bambino che ragiona calcio come lui e guarda volentieri l’oriundo Amauri, perché è nel triangolo davanti che si nasconde la verità. A dieci minuti dalla fine Prandelli lo chiama fuori, gli undicimila di Upton Park si alzano in piedi gridando il suo nome ed è la prima volta, da anni, che l’Italia riesce a perdere senza avere perso per davvero.
     


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