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  • Chievo, D'Anna:| 'Prima uomini e poi calciatori'

    Chievo, D'Anna:| 'Prima uomini e poi calciatori'

     

    Lorenzo D'Anna è proprio uno da Chievo. Ha scritto pagine meravigliose della Favola ed è rimasto nell'ambiente che l'aveva fatto diventare grande, come giocatore e come uomo.  Adesso, smessa la casacca di calciatore e appesa nell'armadio pure la divisa di osservatore - sempre per conto di via Galvani - riprova la strada del campo. Da allenatore. Debutto fissato per oggi pomeriggio a Caselle. La Primavera gialloblù contro quella del Sassuolo. Confessa che l'emozione è quella del primo giorno di scuola («elementare, neanche media...»). Poi parla delle scelte sue e di quelle del club, sfiora i ricordi.  Amicizie, idee  e prospettive. Allineato alla filosofia della Diga col filtro del libero pensatore.  Equilibrio e buona logica, pallone e dintorni senza abusare di banalità e luoghi comuni: «I primi giorni alla Primavera? C'è entusiasmo», racconta. «Devi confrontarti con giovani pieni di vita, esuberanti, che riescono a trasmetterti un certo stato d'animo. Ma vedo soprattutto un gruppo di ragazzi abituato a lavorare bene». 
     
    Niente difficoltà allora? 
    «Direi che mi sono inserito subito facilmente». 
     
    Come mai solo ora la prima esperienza da allenatore?  
    «La mia prima idea, appese le scarpe, era stata questa. Poi ho iniziato da osservatore, mi ci sono appassionato e ho spostato un po' gli obiettivi su altri orizzonti. Pensavo più alla strada dirigenziale». 
    E adesso? 
    «Adesso, per esigenze varie, c'è stata questa opportunità e io l'ho colta al volo, sperando di fare bene. Mi metto alla prova sapendo che allenare mi permetterà di crescere, sul piano professionale e sul piano  personale». 
     
    Bell'impegno, visto quello che diceva fino a qualche giorno fa il suo predecessore, Paolo Nicolato. Cioè che il traguardo minimo resta sempre quello dei play off... 
    «Io per lavoro sono stato spesso all'estero, la Primavera sono riuscito a vederla all'opera poche volte. Però so che in questi anni Nicolato ha fatto bene. È sempre arrivato ai play off. Spero di poter dare continuità al suo lavoro». 
     
    Come giudica questa filosofia del Chievo di ricorrere con decisamente agli uomini che ne hanno fatto la storia? 
    «Credo che la società abbia dato spazio agli uomini. Per quello che abbiamo dato in campo ma soprattutto per quello che abbiamo dato come persone, anche fuori dal campo. Credo che questo abbia influito sulle decisioni del presidente e di Sartori». 
     
    Quindi non è solo un'operazione nostalgia. C'è veramente un valore aggiunto. 
    «La nostalgia vale fino a un certo punto. Credo che ci sia il riconoscimento della competenza, del rispetto per la professionalità. Ci sono tanti aspetti collegati al lavoro e a quello che abbiamo dimostrato anche dopo aver smesso di giocare a calcio». 
     
    D'Anna, Corini, Moro, Lanna... Chi manca tra voi del ciclo storico? Chi ipotrebbe dare ulteriore contributo a questo Chievo, da tecnico o dirigente? 
    «Manca Icio D'Angelo. Che però ha già dato, a suo modo, qui al Chievo prima da giocatore e poi come collaboratore tecnico e allenatore in seconda. Poi ha fatto una scelta di vita cercando di fare l'allenatore e prosegue sulla sua strada».  
     
    L'ultimo tassello...
    «In questo momento sarebbe stato la ciliegina sulla torta. Avrebbe ricomposto il gruppo di quelli che più hanno dato al Chievo. Anche più di Eugenio, che in fondo al Chievo ha giocato quattro, cinque anni. Io, Icio, Moro e Lanna abbiamo fatto più di dieci anni qui. Non poco». 
     
    Cosa combinerà Corini da allenatore? 
    «Io penso che possa far bene e avere il tempo di esprimere e mettere in pratica tutte le sue idee. Perché è uno preparato, uno che ha sempre avuto l'obiettivo di allenare. Contiamo molto su di lui». 
     
    Quanto conta - per lui e per voi - il fatto di aver fatto calcio con Delneri? «Relativamente. Abbiamo la nostra struttura. Delneri ci ha insegnato qualcosa ma abbiamo trascorsi con Malesani, che ha dato tanto a me nei primi anni. Poi c' è stato il dopo Delneri, Pillon, Beretta. E c'è stato Balestro. Ognuno di loro mi ha dato qualcosa. E credo che anche Eugenio abbia fatto esperienze con grandi allenatori anche fuori dal Chievo. Poi rimane l'identità ben precisa che nasce dalla logica, dalla tua identità di persona e di giocatore». 
     
    Qual è - visto oggi, a distanza di anni - il momento o a partita che rappresenta meglio quel ciclo-Chievo? 
    «Penso alla vittoria di San Siro con l'Inter, quando abbiamo toccato il primo posto in A. È stato uno dei punti di espressione più alti, soprattutto per come avevamo affrontato una grande. Gioco e personalità». 
     
    E un aneddoto, anche fuori dal campo, che identifica il vostro modo di essere amici più che colleghi? 
    «Difficile. O troppo facile... C'era un bel gruppo, si andava d'accordo, ci si frequentava. L'aneddoto bello? Magari quella festa che abbiamo fatto quando siamo arrivati in Coppa Uefa. Una bellissima festa sul lago. C'eravamo tutti. Mogli, fidanzate... Abbiamo fatto un bel casino...».
     
    Quando vedremo D'Anna allenare la prima squadra? 
    «Non ho idea... Io mi sento un ragazzino al primo giorno di scuola. Elementare, neanche media... Uno che inizia un'esperienza nuova».  
     
    Arrivata all'improvviso. 
    «Fino a quattro giorni fa l'obiettivo era quello di fare il dirigente, e magari tornerà ad esserlo anche dopo. Non mi pongo traguardi. Sono qui per imparare e trasmettere ai ragazzi qualche cosa della mia esperienza e del mio sapere, sul campo. Perché io l'esperienza ce l'ho solo lì. E insegnare qualcosa a livello personale e a livello comportamentale. Prima del giocatore viene l'uomo: è quello che fa la differenza anche nel calcio». 
     
    Inutile allora parlare di moduli... 
    «Non sono ancorato a un modulo particolare. Le esperienze accumulate girando il mondo in questi anni mi hanno fatto capire che ci sono interpretazioni diverse in base alle culture, alle situazioni, ai giocatori che hai e a quelli che incontri. Io credo invece che questi ragazzi che si devono preparare al mondo dei prof debbano conoscere un po' tutti i concetti base per poterli proporli poi in campo». 
     
    Più dirigente che allenatore allora, nell'ipotetico futuro: il sogno nel cassetto è quello di prendersi, un giorno, la poltrona di Campedelli? «Sogni non ce ne sono. Io sono un uomo della società che adesso viene impiegato da allenatore. Loro sanno che possono contare sul mio apporto in tutti i casi. Sono a disposizione. Il cassetto è aperto: vedremo poi cosa tirarne fuori».  
     
    Ed è già tempo di debutto in panchina: emozione? 
    «C'è. Ed è tanta. Si dorme poco... Adesso hai il pensiero di coordinare la squadra, stimolare anche i ragazzi. Poi, come dicevo prima, qui c'è da dare un seguito al lavoro, positivo, fatto in questi anni. Ma l'emozione c'è. E ce ne sarà ancora di più alla partita. Anche perché affronto una prova con me stesso».

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