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  • CM e 'Il Mundial dimenticato': la leggenda del '42...

    CM e 'Il Mundial dimenticato': la leggenda del '42...

    • Germano D'Ambrosio

    Siamo nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale, ma un manipolo di giocatori perlopiù non professionisti si riunisce in Patagonia per disputare un Campionato del Mondo, mai riconosciuto dalle autorità e avvolto nell'oblio per i decenni successivi. Dodici squadre migranti di mezzo mondo composte da operai e minatori, ingegneri ed ex cercatori d'oro, acrobati del circo e rivoluzionari in esilio, soldati nazisti e indios mapuches, in lotta per conquistare la Coppa Rimet del 1942. È la favola, tra finzione e realtà, raccontata nel film 'Il Mundial dimenticato', nelle sale cinematografiche da venerdì scorso. Lo stile è quello del mockumentary, ovvero del falso documentario, che mescola testimonianze dirette a immagini d'archivio. Calciomercato.com ha incontrato in esclusiva Filippo Macelloni, che insieme a Lorenzo Garzella ha curato la regia della pellicola (prodotta da Daniele Mazzocca e Pier Andrea Nocella).

    Filippo, in cosa consiste in due parole 'Il Mundial dimenticato'?

    'Tutto nasce da un racconto di Osvaldo Soriano, che racconta di un fantomatico Mondiale disputato nel '42 in Patagonia e mai riconosciuto dai libri di storia. Così, nel film, andiamo in Argentina a cercare le tracce di questo Mondiale, per vedere cosa ci fosse di vero e cosa di inventato. E troviamo dei testimoni ancora vivi, tracce di luoghi, filmati d'archivio...'.

    Trovate, in sintesi, un calcio diverso...
    'Molto diverso. Noi abbiamo lavorato parallelamente, un po' cercando nei veri archivi del calcio, cercando informazioni dell'epoca che ci potessero servire, e un po' ricostruendo alcune azioni di gioco come se fosse un film d'epoca, in costume, per raccontare ciò che non avevamo trovato. E questo secondo aspetto è stato particolarmente complicato: basta dare un'occhiata alle immagini dei Mondiali del '34 o del '38 per accorgersi che quello era praticamente un altro sport. Altri ritmi di gioco, altri modi di calciare la palla. E ci siamo accorti che in questo senso influivano anche... le scarpe! Abbiamo ricostruito delle calzature più o meno simili a quelle che usavano i calciatori allora, e gli attori dopo cinque minuti non potevano più giocare perché i piedi erano completamente bucati dai tacchetti, che all'epoca erano davvero fastidiosi. E poi i palloni erano molto pesanti, i campi irregolari...'.

    Il film esce in un periodo molto triste per il calcio italiano. Può essere uno strumento per provare a dimenticare tutto, almeno per un'ora e mezza?

    'Certo, può essere una vera e propria boccata d'ossigeno per chi ha voglia di sognare ancora con delle storie di calcio. C'è una frase molto bella che dice Jorge Valdano (una delle personalità assoldate per la pellicola, ndr) all'inizio del film: Il mito è legato al mistero. Al giorno d'oggi invece si vede tutto, grazie alle televisioni, e dunque è molto più difficile trasformare una partita in qualcosa di leggendario. Noi invece abbiamo cercato di raccontare un gioco del calcio circondato ancora da un alone di mistero che lo rende mitico, come lo si vive da piccoli. In un certo senso è il film che sognavamo di girare da bambini. Poi anche il calcio di allora aveva delle storture: nel film raccontiamo di un arbitro che va in campo con la pistola, o di squadre che usano tutti gli strumenti possibili per vincere una partita. Ma la sincerità e forse l'ingenuità di quegli episodi li rendono meno fastidiosi di quelli a cui assistiamo oggi'.

    Il film rappresenterà l'Italia al Festival di Shangai: potreste invitare alla proiezione Marcello Lippi, che sta allenando proprio in Cina...

    'Non ci avevamo pensato, ma è una buona idea. Poi nel Mondiale che raccontiamo nel film, come in quello del 2006, c'è un Italia-Germania proprio in semifinale... Ma il risultato non lo diciamo, lasciamo che lo scoprano gli spettatori andando al cinema'.


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