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  • Como e il 'grande bluff' di Lady Essien: Tavecchio, ora qualcuno deve pagare

    Como e il 'grande bluff' di Lady Essien: Tavecchio, ora qualcuno deve pagare

    • Marco Demicheli
    Il calcio, a Como, non c'è più. Almeno non quello a livello professionistico. Ieri, infatti, la Figc ha ufficializzato la mancata affiliazione del Como F.C., la società nata sulle ceneri dello storico Calcio Como poco più di tre mesi fa. Una notizia che non ha sorpreso, visto quanto era successo nelle scorse settimane e in particolare dall'arrivo di Akosua Puni, la moglie dell'ex centrocampista di Milan, Chelsea e Real Madrid Michael Essien, che ha acquistato la società all'asta per 237mila euro. Nella conferenza stampa di presentazione, "Lady Essien" - come l'hanno subito ribattezzata i tifosi - si era detta subito entusiasta di questa nuova avventura e pronta a riportare il club in Serie B in breve tempo. Nei suoi tre mesi da proprietaria, però, non ha versato nessuno stipendio. Né ai calciatori, né allo staff tecnico e dirigenziale, né tantomeno ai collaboratori che avevano organizzato la stessa conferenza in grande stile, un evento che aveva richiamato in città giornalisti e curiosi da tutta Italia e non solo.

    QUALCUNO DEVE PAGARE - Perché, allora, si è arrivati a questa situazione? La signora Puni non ha rispettato le tante scadenze che la Co.Vi.So.C. e la Federazione avevano imposto per la presentazione dei documenti e della fideiussione che garantissero l'iscrizione al prossimo campionato di Lega Pro, ma ha sempre promesso che avrebbe sistemato tutto. Una vicenda grottesca e senza nessuna spiegazione plausibile, che aveva una fine già scritta. "Non c'è più niente da fare", diceva domenica il presidente della Figc Carlo Tavecchio - comasco doc - che aveva anticipato il comunicato di ieri. Qualcosa, invece, la Federazione avrebbe dovuto farla prima. È mancato, in tutta questa vicenda, un lavoro di controllo preventivo sulla solidità finanziaria del gruppo guidato da Lady Essien. Un "filtraggio" che avrebbe potuto evitare che, dopo il fallimento del 2004, il club lariano restasse fuori dai professionisti per la seconda volta dal 1938. 

    AVEVA RAGIONE PREZIOSI - In questa storia assurda, ieri è stato scritto un altro capitolo: nella sala stampa dello stadio Sinigaglia si è presentato, infatti, Olivier Amela, il dirigente scelto dalla proprietà per gestire la delicata situazione. Nel bel mezzo della civile contestazione di una cinquantina di tifosi e dei collaboratori del club ("O pagate o qui non potete stare"), Amela non è riuscito a rispondere alle domande dei giornalisti, ma ha lanciato un'ultima sfida: "Ci rivediamo tra una settimana, io porterò avanti il mio impegno. Vedremo se il calcio a Como morirà o no". L'ennesima provocazione a cui sono state sottoposte la tifoseria, le istituzioni e una città che, a eccezione di qualche decina di affezionati, non ha mai fatto sentire la sua voce in questi mesi. E allora tornano alla mente le parole di Enrico Preziosi, presidente dal 1997 al 2003. Un personaggio che a Como ha lasciato un ricordo tutt'altro che positivo, ma che forse su una cosa aveva ragione: "La città ha cercato di farmi fuori. A metà del primo anno di B (stagione 2001/2002), capii che Como era una città che voleva dormire. Fu lì che decisi di lasciarla dormire". Un sonno che continuerà anche il prossimo anno. Nella migliore delle ipotesi, in Serie D.

    @marcodemi90

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