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  • Comunque vada, stiamo con Ventura!

    Comunque vada, stiamo con Ventura!

    • Marco Bernardini
    Giampiero Ventura appartiene a quella categoria di persone per le quali Eduardo De Filippo inventò la perifrasi “Gli esami non finiscono mai”. A sessantotto anni, per coloro i quali hanno cominciato a lavorare da giovani, è tempo di bilanci oltreché di godersi la meritata pensione più o meno in santa pace. A lui, invece, proprio sul limitare di questo suo poter entrare a far parte del mondo di chi ha già dato sono capitate le due grandi occasioni della vita. La prima, sentimentale, gli ha permesso di sposare a sua Luciana quando la maggioranza degli uomini con il medesimo status anagrafico portano a passeggio i nipotini al parco. La seconda,  professionale, lo ha messo nelle condizioni di potersi accomodare su una panchina di assoluto e innegabile prestigio come quella della nazionale del suo Paese. Una posizione sicuramente esaltante ma, allo stesso tempo, anche scomoda per i rischi che comporta di cadere e di farsi male. Rompersi le ossa è lo spauracchio principe per ciascun anziano.

    L’avventura non è cominciata bene. Anzi, per dirla tutta, proprio male. E non tanto perché, seppure amichevolmente, gli azzurri sono stati uccellati dai nostri cugini vicecampioni d’Europa, ma soprattutto per il fatto che inattesi campanelli di allarme si sono messi improvvisamente a suonare per segnalare un pericolo in quella zona che sembrava assolutamente sicura. Se, infatti, esisteva un reparto della nostra nazionale sul quale poter contare quasi a occhi chiusi questo era rappresentato dalla difesa. A Bari, invece, oltre ad un Chiellini assolutamente irriconoscibile persino da da stesso il nostro “muro” solitamente invalicabile ha mostrato crepe mai viste prima per la cui giustificazione non basta tirare in ballo l’assenza di Bonucci. Un problema che probabilmente neppure Ventura si aspettava di dover affrontare, perlomeno non in tempi così brevi. Tempi che il cittì immaginava dover dedicare all’aggiustamento e alla rimessa in asse ella struttura lasciatagli in eredità da Antonio Conte. E a proposito di Conte. Un breve inciso per ribadire il sospetto che dietro il suo abbandono della barca azzurra non vi siano stati soltanto i quattrini del Chelsea ma soprattutto la consapevolezza che oltre ad un’Italia migliore di quella vista agli Europei non fosse possibile andare. Per mille motivi e uno in particolare: il quasi assoluto e e desolante abbandono da parte della Federazione dei legittimi e necessari programmi di crescita  tecnica, tattica e morale di un movimento calcistico sempre più esterofilo e sempre meno italiano per via delle necessità ingorde dei club.

    Ora in Israele, per il primo step verso le qualificazioni mondiali che saranno difficilissime da ottenere visto che esiste l’obbligo di arrivare primi in un girone dove c’è nientemeno che la Spagna. Già ad Haifa non sarà una passeggiata della salute, dopo il prologo stonato di Bari. E’ vero che anche Lippi esordì in azzurro con una sconfitta, ma è altrettanto vero che la squadra affidata alle mani dell’ex tecnico della Juventus era un gruppo in crescita, mentre quello consegnato a Ventura sembra soffrire di una involuzione sicuramente dovuta in buona misura al logoramento successivo alle “cure” a dir poco usuranti di Conte.

    Detto questo e preso atto di ciò che è accaduto a Bari e di quel che potrebbe succedere procedendo, sarebbe giusto e opportuno che ciascuna forza in campo, in primis dai giocatori arrivando ai veri tifosi dopo essere transitati attraverso la critica, si compattasse in un'unica entità per fare quadrato intorno a Ventura. Un uomo di sessantotto anni che l’altra sera le telecamere hanno impietosamente indagato per mostrarlo al pubblico televisivo sudato fradicio dentro un doppiopetto nero di ordinanza con tanto di camicia e cravatta in tinta al collo. E se grondava, il mister, non era certamente per il caldo ancora estivo. Non si dovrebbe faticare più di tanto a immaginare i pensieri che, strada facendo, si accavallavano nelle mente di Ventura riproponendo in moviola accelerata il film ella sua vita professionale. Giocatore quanto mai umile e modesto e poi allenatore nomade buono per tutte le stagioni obbligato, per sbarcare il lunario, a cambiare squadra e città per almeno dieci volte senza mai trovare ciò che spesso avrebbe meritato in quanto a riconoscimenti. Ventura è genovese autentico. Razza speciale, ombrosa, fumantina, realista e leale. I genovesi, che sognano soltanto quando come i loro antenati navigatori osservano l’orizzonte dove mare e cielo si uniscono, difficilmente chiedono amore. Ma sempre pretendono rispetto. Quello che tutti dobbiamo a Ventura, comunque vada. E per tutti quelli come lui per i quali il destino ha stabilito che gli esami non debbano finire mai.

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