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  • Da Garcia a Lotito: il calcio se ne frega

    Da Garcia a Lotito: il calcio se ne frega

    Il calcio, come la neve, se ne frega. Di tutti i titoli, di ogni parola spesa davanti alle telecamere o al bar, del tifo più intelligente e di quello becero il calcio se ne frega e trova i suoi equilibri naturali, stabilisce le gerarchie del campo e le ribalta mentre noi ce ne stiamo qui a inseguire per settimane le mezze frasi e i lunghi silenzi di milionari americani e indonesiani.

    Prendi la Roma.

    Morta, finita, cotta, allo sbando, Sabatini incapace, i giocatori viziati e capricciosi, la società quasi in liquidazione. Ieri (che poi è solo qualche settimana fa). Poi arriva Spalletti, usa il mestiere antico dell’allenatore che si ostina a fare l’allenatore (la scuola toscana ne è piena: Allegri, Sarri e Spalletti tutti e tre sul podio), e siamo tutti costretti a fischiettare facendo finta di nulla, come se nulla fosse stato detto.

    Il tempo è galantuomo, chi lo usa male molto meno e non è sufficiente appellarsi al diritto di cronaca per poter sputare gratuitamente sentenze e belinate come se piovesse, come se la coerenza non avesse alcun valore.

    Attenzione, questo non è uno sfogo sul giornalismo sportivo in genere, è un piccolo spunto di riflessione sull’inutilità del sensazionalismo, un invito all’uso corretto del mezzo. Per avere un calcio migliore dovremmo iniziare a usare le parole giuste, perché la stampa ottenga un ruolo critico rispettato e riconosciuto dobbiamo smettere di scrivere come se fossimo in transenna, evitare le mistificazioni e cercare di informare. Dare notizie, non rilanciare cori e slogan.

    Torniamo alla Roma, a dove l’avevamo lasciata.

    La vicenda Totti- Spalletti è tutto meno che risolta ma almeno ha assunto una dimensione privata e per buona sorte della società entrambi i protagonisti hanno molto a cuore l’immagine pubblica dell’AS Roma, tanto da trovare un armistizio di fatto. Hanno abbassato i volumi per permettere a Spalletti di concentrarsi ulteriormente su una rincorsa tanto folle quanto divertente.

    Ci si chiederà quale fosse il problema di Garcia.

    Temo la risposta sia molto semplice e umana: non il modulo, non i protagonisti ma la gestione del gruppo. Ci sono codici che non si violano e distanze che van tenute tali, quelle tra allenatore e gruppo. Quando si riducono troppo, quando si accorcia lo spazio di sicurezza e i giocatori perdono di vista il loro ruolo, come quando si diventa troppo amici dei propri figli abdicando al ruolo di guida. Non amici, che è una buona cosa, ma troppo amici.

    Spalletti è bravo e ruvido quando serve, è stato anche plateale nei cazziatoni delle prime uscite, quando ha ripreso i giocatori davanti alle telecamere, ma l’effetto ottenuto dimostra che aveva ragione lui.

    In tutto ciò non possiamo non dedicare un caro pensiero a Gervinho, che da lontano ci tiene a specificare che se n’è andato per solidarietà e che la Roma ha fatto malissimo a mandare via il suo amico Rudi Garcia. Se Gervinho ha una dote non è quella del tempismo, almeno fuori dal campo.

    Paulo Sousa ha perso ma continua a vincere. Ha provato a giocarsela a Roma ma la Fiorentina senza Borja Valero, il miglior centrocampista del campionato, soffre troppo e senza lui e Vecino il troppo è ferale. Resta l’impressione di un bravissimo allenatore, che non soffre tanto a causa delle aspettative ma che ha trovato una tensione terribile nell’ambiente e che continua senza esitazioni a usare la ricetta del gioco e della costruzione di una mentalità come antidoto. Dovesse andare via sarebbe un peccato, un altro mercato buono e la Fiorentina è più che competitiva.

    Di Juventus e Napoli non diremo.

    Stanno lì, come i duellanti di Conrad, si cercano e si perdono, si allontanano e si rincorrono, stanno giocando entrambe un campionato memorabile, un filotto infinito in cui tutto sembra facile.

    Aspettiamo, vediamo quale delle due visioni del mondo (del calcio, s’intende), prevarrà alla fine.

    Pragmatismo o sogno, riducendo tutto ai minimi termini?

    Mihajlovic si è incartato sul Sassuolo, per la terza volta in tre anni la squadra del milanistissimo Squinzi ha rovinato la giornata al Milan, quello vero, quello costruito in corsa da Mihajlovic per arrivare fino alle soglie della Zona Champions e poi giocarsela.

    È stato solo un episodio, il Milan aveva iniziato benissimo la partita, imponendo il proprio gioco su uno dei campi più complicati della serie A, poi è arrivato il gol del Sassuolo e tutto è cambiato. Al di là di falli non concessi, di rimostranze più o meno motivate quel che resta è l’impressione di una squadra in salute, che con il materiale umano di cui dispone sta facendo cose egregie e che (come la Fiorentina), l’anno prossimo potrebbe crescere ancora.

    Certo, sull’azione del due a zero c’era un fallo, certo con la moviola in campo sarebbe stato diverso ma saremmo orfani dell’ira funesta di Mihajlovic e del pericolosissimo rosso vermiglio di cui s’è acceso il suo volto. Non ce ne voglia Miha, ma ci son cose che valgono il prezzo del biglietto, soprattutto quando lo spettacolo in campo latita. Era così arrabbiato che per un attimo abbiamo temuto per la sua salute.

    Poi l’Inter.

    La settimana scorsa, nel deserto dello sconforto e dei mugugni, provammo a considerare quei venti minuti finali di piccolo assedio a una Juventus distratta come un segno di timido risveglio. I tre gol di mercoledì, a quella stessa Juventus ormai completamente disorientata perché non più abituata a subire imbarcate del genere, hanno confermato che la via può essere quella giusta.

    Allegri ha dichiarato che è stata una sconfitta indolore e salutare, tutto sommato può valere anche per l’Inter: la Coppa Italia persa così fa meno male e la lezione è stata salutare.

    Ieri sera con il Palermo tante buone giocate corali, tanti errori individuali e la certezza che Perisic non debba mai più uscire dal campo. Mancini è più sereno e alcune intuizioni cominciano a funzionare, le dichiarazioni sul mese (e mezzo), nero sono da persona molto intelligente e consapevole, è evidente che lo spogliatoio ora sia molto governabile e coeso.

    Perché parlare di schemi è cosa che spetta a chi li conosce e li studia, a noi amanti del gioco resta il lato umano, restano le cose più eclatanti.

    Ah, una nota per Lotito: magari Frosinone e Carpi alla fine non ce la faranno, ma stanno onorando questo campionato più di tante squadre ricche e accreditate. Un piccolo stadio pieno è molto più bello di grandi e vetuste strutture vuote, perché in quelle fa troppo freddo e si sente l’eco delle scemenze che diciamo sl calcio (anche se il calcio se ne frega). 

    Michele Dalai
    @micheledalai

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