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  • Da 'Tuttosport' a Donald Trump!

    Da 'Tuttosport' a Donald Trump!

    • Marco Bernardini
    Gli appassionati di sport ormai non più giovanissimi ricorderanno come era e come si proponeva il quotidiano “Tuttosport” per il periodo che va dall’ultima parte degli Anni Ottanta alla prima metà dei Novanta. Già sotto la direzione di Pier Cesare Baretti il giornale aveva cominciato a scollinare oltre i confini dell’ortodossia sportiva per gettare un occhio critico anche in quei territori esclusivi dell’informazione generalista. Un’intuizione, ma anche una necessità per fare in modo che la stampa specializzata smettesse di vivere sotto una campana di vetro e potesse diventare uno strumento di crescita culturale e sociale. Il mondo stava cambiando e lo sport pure. Anche il gioco del calcio che pure rappresentava ancora un totem inviolabile e vergine. Non era così, naturalmente, tanto che la bomba del calcio scommesse deflagrò costringendo ad affiancare nelle stesse pagine le cronache del pallone con quelle della nera o della giudiziaria.

    Nel settembre del 1982, seppure con il “Mundial” addosso (Baretti, insieme con Italo Cucci del “Guerino”, era stato il solo a credere in quel miracolo poi realizzato dalla banda Bearzot), Pierce lasciò la direzione del giornale a Piero Dardanello il quale aveva vissuto esperienze professionali sia come inviato sportivo e sia come responsabile del Corriere d’Informazione e dell’Occhio con Maurizio Costanzo. Da quel momento  “Tuttosport” attuò una vera rivoluzione culturale che lo proiettò ai vertici delle vendite insieme ai più famosi e potenti quotidiani d’Italia. Dalle ottantamila alle duecentomila copie giornaliere. Una marcia trionfale che durò dodici anni. Per me il periodo più affascinante di tutta la mia carriera. 

    Dardanello aveva portato agli estremi il lavoro avviato da Baretti. Due pagine del quotidiano erano dedicate, ogni giorno, a fatti e personaggi di assoluta attualità che con lo sport avevano nulla a che vedere o perlomeno non in modo diretto. Dalle elezioni politiche in Italia alla Guerra arabo israeliana, da Pertini alla caduta del Muro di Berlino, da Miss Italia al Festival di Sanremo. “Tuttosport” come una finestra spalancata sul mondo, insomma. Tant’è che nella rassegna stampa di mezzanotte, condotta da Italo Moretti su Rai Tre, il nostro giornale compariva puntualmente insieme con quelli generalisti. La “Gazzetta dello sport”, diretta da quell’altro genio del giornalismo che era Candido Cannavò, si adeguò e oggi continua ancora lungo quella strada. “Tuttosport”, conclusasi l’era Dardanello, tornò all’angolo del ring con la faccia piena di pugni. Un viaggio senza ritorno che neppure il bravo Vittorio Oreggia, costretto alla resa, è riuscito a interrompere. Lo scrivo con grande dolore, credetemi.

    Una piccola fetta di storia del giornalismo, mi auguro  utile ai più giovani, che mi permette di legittimare l’argomento “non sportivo” suggerito dal titolo per due motivi. L’editore di “Calciomercato. Com.”, Carlo Pallavicino, ha avuto la fortuna di vivere la gestione Baretti essendo una sorta di suo “figlioccio”. Il nuovo direttore della testata, Stefano Agresti, il “Tuttosport” autentico lo ha potuto assaggiare e il suo progetto prevede un “giornale” in Rete capace di andare oltre allo specifico della sua testata. Sono principalmente queste le ragioni che mi spingono a suggerire ai nostri lettori di annotare per bene la data di oggi sul calendario della memoria come giorno epocale per l’umanità contemporanea. Non era mai accaduto che un presidente americano, in visita ufficiale al Giappone, si recasse a Hiroshima. L’isola del Pacifico che è il tragico monumento alla follia dell’uomo oltre a rappresentare un senso di colpa che nessun americano riuscirà mai a cancellare dalla propria coscienza. Lo ha fatto Obama che, purtroppo per gli Usa e per il mondo  intero, alla fine di novembre non sarà più il presidente.

    Un oscuro cavaliere della notte s’avanza dall’orizzonte dell’America più profonda,  più razzista e più guerrafondaia. Si chiama Donald Trump e, in base agli ultimi  sondaggi, avrebbe ottime probabilità di diventare il nuovo presidente degli Stati Uniti. Un timore, destinato a diventare paura, che deve riguardare proprio il mondo del web e della Rete. Quella parte di società sempre più ampia, figlia e nipote di noi ex hippie ed ex movimentisti delusi ora in attesa di riscatto, che sta trovando la forza e l’entusiasmo per un mondo solidale e privo di barriere al netto della reciproca coesistenza. Un cervello collettivo, quello dell’informazione online, decisamente superiore a quello dei singoli “utenti” che come Trump raffigurano il web come Belzebù e lavorano per un mondo “offline”. Il solo uso telematico che il pretendente alla Casa Bianca concepisce è quello di Twitter. Nessuna discussione, nessun dibattito ma soltanto 140 caratteri a disposizione per etichettare e insultare: “Ted Cruz il Bugiardone”, “Hillary la Corrottona”, “Jeb Bush il Senzapalle”. Tutto ciò su Fox News, la rete conservatrice di Trump, sulla quale traspaiono netti il rancore e il risentimento razzista di questo uomo violento e grezzo nei confronti del primo presidente afroamericano, degli emigranti ispanici e dei musulmani integrati. Purtroppo, per il mondo, la maggioranza degli americani che non vuole sentir parlare dei Clinton gli crede. L’America che non è New York, Chicago, Washington, Boston o, Detroit o San Francisco. L’America che è quella immensa e sommersa, coast to coast, dei milioni di cow boy e di affiliati al Ku Klux Klan i quali se non hanno una pistola in tasca si sentono nudi e che il computer lo usano principalmente per strafarsi di porno e di violenza. Si dice che non c’è fine al peggio. Con Trump sarebbe garantito. Al mondo, santiddio, mancava solo più lui

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