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  • Dalla moda e dalle auto fino all'Inter, siamo il Paese del Dragone: meglio così

    Dalla moda e dalle auto fino all'Inter, siamo il Paese del Dragone: meglio così

    • Fernando Pernambuco
    Ha giustamente “fatto rumore” la notizia che i cinesi del Suning rileveranno il 68,55% dell’Inter e, in seguito, arriveranno a possederne il 100%. Thohir resta pro tempore, forse per mettere una toppa ad un bilancio che segna -36 milioni di euro e, dato il Fair Play Finanziario, per affrontare un altro anno di transizione che sa tanto di graticola. Col saluto definitivo di Moratti e il completo avvento asiatico tramonta un’epoca e se ne apre un’altra. Quella della finanza  che pare allontanare sempre più il calcio da un dato di realtà. Un calcio destinato a diventare un ricordo o un’illusione. Il ricordo di un gioco, già trasformato in industria dello spettacolo, ma comunque ancora legato all’esperienza, alla passione, alla vicinanza. In una parola a un fulcro sentimentale. Ora, sentire Zhang Jindong, il magnate del Suning Commerce Group (un impero da 15 miliardi di euro) che dice: “Sono sempre stato interista” mentre il traduttore/presentatore ha appena pronunciato le fatidiche parole: “Siamo qui per far tornare grande il Milan” un po’ sconforta e un po’ rasserena.

    PASSATO E PRESENTE - Sconforta perché sembra che l’Inter (il calcio) si avvii a perdere definitivamente le sue radici e tronchi con un passato perduto mai più in grado di riaffiorare. Ma, Proust insegna, il passato non si perde mai del tutto e ritorna quando meno te lo aspetti, in un gesto, in un volto, in un presentimento. Rasserena il fatto che per un signore dal patrimonio personale di oltre 4 miliardi di dollari, a capo di televisioni e di una catena commerciale che conta 1.700 negozi, l’Inter può diventare una creatura da accudire e viziare. D’altra parte invidiamo il calcio “petrodollaresco” degli sceicchi e ci abbattiamo per una scena nazionale relegata al ruolo di comprimaria, non possiamo storcere la bocca se i soldi arrivano. 

    CINESI IN ITALIA - E’ quanto sta succedendo non solo nel calcio. I cinesi nutrono una vera e propria passione per l’Italia. Affari, denaro, prezzi buoni certo, ma anche un reale apprezzamento per il nostro stile di vita. Gli investitori cinesi, nel 2015 sono cresciuti di circa il 32% rispetto all’ anno prima e nel nostro Paese risultano presenti, almeno con un’impresa partecipata, 162 gruppi con sede principale in Cina.

    NON SOLO IL CALCIO - Gli interessi vanno dall’auto, alla moda al settore agroalimentare. Il giro d’affari delle imprese italiane con partecipazione cinese è vicino ai 10 miliardi di euro e conta poco meno di 17.600 dipendenti. L’elemento più rilevante di questo panorama è stato il passaggio della Pirelli sotto il controllo di ChemCina (7,4 miliardi di euro), mentre il gruppo cinese Deren Electronic è divenuto  azionista di controllo di Meta System, impresa emiliana del settore auto. Il gruppo Foton (macchine agricole) ha rilevato, lo scorso anno, la Goldoni di Carpi e, in precedenza, la piacentina Arbos e la veneta Matermacc. In mani cinesi anche la De Tomaso. Nel mondo della moda, cinesi sono la Cerruti, i marchi di lusso Roberta di Camerino e Krizia. Le moto Benelli parlano cinese, così come i prodotti in pelle Desmo.

    ALIMENTARE - La Coldiretti segnala che nell’alimentare, l’ultimo colpo risale al 2014 con la vendita della maggioranza del gruppo oleario Salov (Sagra e Filippo Berio) a Yimin. Nel 2013 un imprenditore della farmaceutica di Hong Kong aveva comprato l’azienda vinicola Casanova, nel cuore del Chianti Classico.

    Insomma, come si diceva un tempo, la “Cina è vicina”, ma non quella di Mao.
     

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