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  • Essere o non essere gay nel calcio: un viaggio nello sport più omofobo di tutti

    Essere o non essere gay nel calcio: un viaggio nello sport più omofobo di tutti

    • Pippo Russo
    È uscito dal ripostiglio. Victor Gutiérrez, nazionale spagnolo di pallanuoto, ha dichiarato pubblicamente la propria omosessualità e adesso si sente finalmente una persona libera. Ha deciso di rendere noto il proprio orientamento sessuale sia perché non vedeva più la ragione di tenerlo nascosto, sia perché da personaggio pubblico ha sentito la responsabilità di metterci la faccia. Ha capito, cioè, che in quanto atleta famoso può essere un esempio verso molti omosessuali ancora titubanti nello scrollarsi di dosso il peso del segreto, e perciò si ritrovano costretti dentro una quotidianità di frustrazione. Il gesto di Gutiérrez avviene in un periodo che in Spagna registra un aumento delle violenze omofobe. C’è dunque una nobilissima declinazione del concetto di responsabilità sociale dell’atleta, nella scelta del pallanuotista. Che ha voluto “salir del armario”, espressione che in spagnolo corrisponde perfettamente all’inglese “coming out of the closet”. Nel corso di un’intervista rilasciata a As, Gutiérrez ha spiegato molte altre cose. Innanzitutto si è curato di fare piazza pulita di alcuni stereotipi: “Tutti coloro che sono pieni di pregiudizi sappiano che io sono uno sportivo d’elite, che pratico uno sport molto duro, e che sempre sono stato valutato per le mie prestazioni sportive, non per la mia condizione sessuale. Spero di motivare la gente a continuare a fare così”. E poi, alla domanda su quali siano i motivi che frenano gli sportivi omosessuali dal dichiarare pubblicamente il proprio orientamento sessuale, ha risposto: “Quello che impedisce di uscire dal ripostiglio è la paura del rifiuto. Vicende come la mia servono a dare tranquillità a tanti, e credo siano importanti. Credo che sia rispettabile anche la gente che vive la propria vita come vuole, e decide di confessare la propria condizione soltanto alla propria cerchia ristretta, però bisogna rispettare coloro che la dichiarano pubblicamente”.

    Il distinguo fra la pubblica dichiarazione della propria omosessualità e la scelta di mantenerla riservata costituisce il dilemma con cui ogni atleta di diverso orientamento sessuale deve fare i conti. Ovviamente il diritto alla riservatezza è sacrosanto, ma è anche difficile che la scelta di non dichiararsi omosessuali sia davvero la migliore possibile in termini di equilibrio con se stessi. Più spesso è soltanto il compromesso reso necessario dalla necessità di non affrontare il pregiudizio generalizzato. In questo senso è ancor più istruttiva la vicenda del rugbista gallese Gareth Thomas, che fece coming out nel 2009 e poi pubblicò ua bellissima autobiografia intitolata “Proud”. L’intervista rilasciata qualche anno fa da Thomas all’Equipe Magazine rimane un documento straordinario. Durante la chiacchierata col giornalista del magazine francese Thomas confessa di essere giunto a desiderare la morte, durante il periodo in cui si sforzava di tenere nascosta la propria omosessualità. E che soltanto a quel punto, grazie al richiamo di una grande voglia di vivere, ha capito di doversi liberare del peso del segreto.

    In quella stessa intervista Thomas risponde a una domanda sull’omofobia che impera nel mondo del calcio, e che continua a rendere quasi impossibile a un calciatore gay l’atto di fare coming out: “La differenza [fra il calcio e il rugby] è enorme. Adoro il calcio, assisto a molte partite e ascolto molte frasi che dalle tribune vengono indirizzate ai giocatori. Se quegli stessi tifosi dicessero quelle cose per strada, verrebbero arrestati. I calciatori che non sono gay, ma sono amici dei loro colleghi gay, non prendono posizione rispetto a tutto ciò che sentono durante i novanta minuti, tutti i fine settimana”.

    Dunque, secondo Gareth Thomas sarebbe innanzitutto una mancanza di solidarietà da parte dei colleghi etero a far desistere i calciatori gay dal dichiararsi. Ma ovviamente ci sono molte altre ragioni, tutte difficili da indagare ma concorrenti nel fare del calcio uno dei mondi più machisti e omofobi in cui possa capitare di trovarsi. La vicenda di Justin Fashanu, che dopo aver compiuto il coming out si ritrovò isolato e entrò in depressione fino al suicidio, rimane un memento. E in Italia, di tanto in tanto, continua a saltar fuori qualcuno che nega l’esistenza dell’omosessualità nel calcio. Un tabù difficilissimo da abbattere, specie nell’epoca dei commendatori Tavecchio e Belloli.

    @pippoevai

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