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  • Euro 2012, telecronache:|Mazzocchi attacca Caressa

    Euro 2012, telecronache:|Mazzocchi attacca Caressa

    Vi sarà sicuramente capitato di sfogliare un qualsiasi quotidiano in questi giorni e leggere più di un commento feroce contro la Rai e come sta trattando gli Europei: si è espresso sul tema, ad esempio, Maurizio Caverzan, che su "Il Giornale" dell'11 giugno ha scritto: «le "Notti europee" sono un improvviso salto all'indietro nella tv vintage, un po' sala par­rocchiale e un po' ministero»; ma anche Aldo Grasso, che sul "Corriere della Sera" dello stesso giorno ha così concluso il suo articolo: «Il servizio pubblico, che avrebbe nell'offrire a tutti la diretta del grande sport una propria missione importan­te, non solo pensa di "abbandonare il campo" in futuro, ma fatica a costruire prodotti di qualità attorno ai grandi eventi», per poi rincarare la dose sul sito web del quotidiano di via Solferino, parlando addirittura di «peggior performance dal 1954», ovvero dalla nascita della tv in Italia.


    Tutto nella norma, direte voi: anche quattro anni fa, in occasione dei precedenti Europei in Austria e Svizzera - già allora in totale esclusiva Rai - noi stessi ci eravamo fatti portavoce del malcontento dei telespettatori riportando commenti e opinioni direttamente all'allora direttore Massimo De Luca.

    Quest'anno però ai commenti di critici televisivi e del pubblico (che su twitter si sfoga ormai quotidianamente) si è aggiunto quello di un giornalista della 'concorrenza': Fabio Caressa, telecronista di punta di Sky Sport, intervistato domenica scorsa da Maria Rosa Tomasello per una serie di quotidiani locali del gruppo Espresso (tra cui "Il Centro" e "La Nuova Sardegna") ha risposto ad alcune domande sulla qualità della copertura Rai di questi Europei. In particolare Caressa ha rilevato l'assenza di «una scuola nuova in Rai» in fatto di telecronisti, seppur elogiando alcuni colleghi, come Marco Lollobrigida («da noi avrebbe fatto carriera più in fretta»), e suggerendo di apportare qualche modifica al sistema, perché «evidentemente questo schema non funziona più, non solo nello sport».

    Questa "ingerenza" non è però andata giù a Marco Mazzocchi, team leader della spedizione Rai, che ha risposto il giorno successivo sugli stessi quotidiani: «Caressa dice una cosa giusta: che i nostri sono meno allenati dei loro, ma non ha alcun elemento per dire che non c'è una scuola o qualcuno che non sap­pia insegnare. Di sicuro loro fan­no centinaia di telecronache, ma io che le seguo posso dire che non tutte sono ottime. Per­ché invece nessuno parla delle cose positive, per esempio che c'è una copertura totale della na­zionale, cosa mai accaduta pri­ma? Siamo bravi anche perché sappiamo sopportare le critiche, e ci vedono 15 milioni di persone, non un milione». L'intervista procede poi con le precisazioni di Mazzocchi in merito all'episodio della bestemmia in diretta, ai "sovietici" di Fulvio Collovati e alle imprecisioni in telecronaca di Bruno Gentili, e termina con questa risposta di Mazzocchi: «Secondo me dobbiamo im­parare a far parlare di più le im­magini. Dire: queste immagini si commentano da sole e parlare un po' meno, ma questo non va­le solo per noi della Rai, vale per tutti coloro che fanno questo la­voro. Ci piacciamo un po' trop­po, ci piace inventare la frase che diventa un tormentone per cui poi la gente ci riconosce, ma noi siamo mediatori per la gente di un evento, è la partita che de­ve essere protagonista».

    Il finale propositivo però non stempera i toni: nella tarda mattinata di ieri, nel consueto collegamento con Radio 2 SuperMax, Marco Mazzocchi - stuzzicato sapientemente dal conduttore Max Giusti - si sfoga ancora , sia con la giornalista autrice delle due interviste che con Caressa (che però non viene mai nominato in radio, così come Sky che per l'occasione diventa Skype): «A me va benissimo che chi lavora in Rai sia esposto a critiche, siamo un canale pubblico, pagato con il canone. Non tutti quelli che criticano la Rai poi pagano il canone, ma va bene lo stesso: abbiamo delle responsabilità e ci piace accollarcele, perché altrimenti non faremmo questo lavoro e non saremmo bravi a farlo. Dopodiché contesto il fatto che un giornalista intervisti un commentatore di Sky(pe) per giudicare il lavoro della Rai, che è proprio deontologicamente sbagliato: è come se un giornalista intervistasse un tuo collega che deve giudicare il tuo lavoro, non si fa. Soprattutto se poi non si pensa nello stesso articolo di sentire anche te, che magari hai diritto di replica. Secondo, non ci sta che il tuo collega o il tuo antagonista risponda, perché è buona norma tra colleghi non giudicare il lavoro degli altri. Terzo, soprattutto è buona norma non dire ca**ate».

    Mazzocchi continua definendosi molto «arrabbiato», aggiungendo di aver fatto contattare «l'agenzia che ha scritto l'articolo proponendolo ad una serie di giornali per replicare». Ma anche sulla replica, pubblicata ieri, c'è qualcosa che non va: «avevo anche aggiunto un altro elemento - prosegue Mazzocchi su Radio 2 - che casualmente nell'intervista non c'è, (vale a dire) che è abbastanza singolare che tutto ciò che fa la Rai solitamente o spesso viene criticato, (mentre) tutto quello che fa Sky(pe) non viene criticato. [...] Probabilmente il fatto che Sky(pe) paghi pagine di pubblicità su tutti i giornali può essere una forma di...».

    Lo sfogo - che ricorda l'attacco non tanto velato di Franco Bragagna avvenuto qualche settimana fa - prosegue citando (ma sempre senza fare nomi) «conduttori televisivi della Rai che si spostano a Sky(pe) e, o di loro non si parla più perché sono scarsi [...] oppure improvvisamente diventano bravi». Un nome viene fatto quando si parla di format che hanno compiuto il medesimo passaggio: «X Factor è stato per tre anni su Rai 2 [...] e critici televisivi molto ascoltati dicevano che 'nun se pò guardà'; improvvisamente è passato a Sky(pe) ed è diventato un gran programma. C'è qualcosa che stride?».

    A stridere a mio modesto avviso è l'intera questione: la Rai dovrebbe forse iniziare a rassegnarsi a vivere sotto la lente vigile ed esigente di pubblico e critica. Se un paragone tra le offerte free e pay è sempre di più improponibile, sia in termini di diritti acquisiti che di qualità (audiovideo ma anche di approccio), personalmente non credo che alzare i toni, come fatto in radio ieri, possa giovare al servizio pubblico. Sarebbe meglio piuttosto che si pensasse a difendere e valorizzare adeguatamente le buone cose che la Rai sta offrendo, come ad esempio l'offerta multimediale o le finestre continue sulla nazionale di Prandelli, aprendosi magari costruttivamente alle critiche. Questo sì che sarebbe un vero 'servizio pubblico'.
     


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