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  • FALLO LATERALE: Simeone, non si può far finta di nulla davanti a un morto

    FALLO LATERALE: Simeone, non si può far finta di nulla davanti a un morto

    • Fernando Pernambuco
    Ma in che mondo vive el Cholo Simeone? Un tempo degli artisti avulsi dalla realtà, si diceva che albergavano in una “torre d’avorio”. Ora di buona parte di personaggi del mondo del calcio si potrebbe dire che vivono in una “torre fra le nuvole”, oppure in “una torre antica” (vedi Tavecchio) ad esser buoni.

    Alla richiesta di una considerazione sulla tragica morte di un tifoso del Deportivo La Coruna, aggredito e gettato nel Manzanarre da un gruppo di tifosi dell’ Atletico Madrid, Simeone non ha trovato niente di meglio da dire che “il fatto ha un risvolto sociale, non calcistico”. A parte un segno (di circostanza quanto volete) di sconforto e sconcerto comunque da proferire, l’allenatore dei Colchoneros, appunto, in che mondo vive? Qui non si tratta di moralismo, ma di comprensione. Il calcio, infatti, ricopre un ruolo altamente sociale. Appartenenza, aggregazione, passione collettiva di massa riguardano il giardinaggio o la societa? Sentimenti di esaltazione, lutto, rabbia, aggressività non riguardano forse il calcio? Vorticosi giri di denaro, investimenti, diritti sono un fatto solo sociale?

    Il calcio è tutto questo: una poderosa macchina sociale, psicologica, economica e sportiva. Come si può pensare di renderlo avulso da un tasso altissimo di umanità, quindi anche d’imperfezione, talvolta drammatica (come in questo caso), talvolta ridicola e ridurlo a semplice gioco. Non lo è più solo un gioco, forse non lo è mai stato e allora bisogna stare, appunto, al gioco della complessità, che significa affrontarne i mille risvolti, dentro, ma soprattutto fuori dal campo. Sarà duro, difficile, perfino noioso, ma i primi che dovrebbero farlo sono loro: i protagonisti “maturi”, gli allenatori, i dirigenti, i rappresentanti delle istituzioni.

    A chi non piacerebbe tornare indietro ad una, per altro supposta innocenza delle origini, col pallone cucito dai lacci di cuoio che graffiavano la testa, le maglie pesanti dei portieri inzuppate d’acqua, la partita dagli spalti e basta? Al massimo qualche foto e figurina senza miriadi di fronzoli mediatici, Twitter, You Tube, sponsor, scienziati del battito cardiaco e dell’alimentazione. Sky? No bar dello sport. Certo le scazzottate dovevano esserci anche allora e forse qualcosa di più, almeno a leggere il bel racconto di Mario Tobino che narra come un derby Viareggio-Lucchese del 1920, “quando non si giocava per denaro”, accese la scintilla d’una vera e propria rivolta contro prefetto e polizia nella città versiliese. Già allora, quando nessuno di noi era nato, e “non si giocava per denaro”, il calcio non era solo un gioco, caro Simeone. Forse lo è solo quando si gioca a quattro zampe con una palla. Dopo, anche in un cortile, anche su un campetto o su una spiaggia, anche fra scapoli e ammogliati, un gioco, solo un gioco non può mai esserlo.
     

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