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  • Fiorentina, Viviano:| 'Rivalità senza fine con la Juve'

    Fiorentina, Viviano:| 'Rivalità senza fine con la Juve'

    È il momento dei portieri. Dei numeri uno. Decisivi. Buffon salva l’Italia, Hart per due volte fa il miracolo su rigore di Ronaldhino e permette all’Inghilterra di vincere. Invece Muslera è troppo distratto e spalanca la porta dell’Uruguay alla Spagna mentre la settimana scorsa un’incertezza di Goicoechea ha favorito la condanna della Roma. Si sa: ruolo difficile e molto letterario, da Camus a Handke, da Amado a Nabokov. Soli a difendere il proprio pezzo di terra, una trincea da Carso che si è allargata. Una volta bastava avere mani buone, oggi anche i piedi. Il portiere è diventato un libero. Prima si potevano contare le formiche, oggi se non segui il gioco t’impallinano subito. Emiliano Viviano, 27 anni, portiere della Fiorentina, domani si troverà contro il suo mito, Buffon.

    Non dica che quella di Juve-Fiorentina è una vigilia normale.
    «Non ci penso proprio. Questa rivalità non finirà mai. Firenze non si sottomette, crede nella sua diversità, è scesa in strada per tenersi Baggio. Tutta la città, non solo i tifosi. E se la Fiorentina vince la città per una settimana respira meglio, quasi felice. Credetemi, se lo dico io che sono nato a Fiesole, ma sono di Peretola. Mia mamma era cuoca alla manifattura di tabacchi, papà operaio alla Centrale del latte, due fratelli più grandi. Ho sempre tifato Fiorentina, perché io in questa squadra volevo giocarci sin da piccolo. Batistuta, Rui Costa, Toldo. Era sempre lì a guardarli. Lo sussurro: sono appagato, non ho altri sogni».

    Hanno riscoperto Buffon.

    «E questo la dice lunga sul nostro ruolo, che ha margini di errore molto stretti. Passi da asino a eroe in un attimo. Buffon pareva vecchio, da buttare: così dicevano. Oggi è di nuovo santo. Io dico che Buffon è su un altro pianeta, uno così nasce ogni quarant’anni. Conta la forza, la continuità. E lui regge da più di 15 stagioni. Che volete di più: criticare per principio? Il portiere è un ruolo a rischio: ti martellano, e tu sei solo. Ti devi prendere la responsabi-lità, anche se agisci d’istinto. Nello stadio mi possono urlare di tutto, lo accetto, ma non lo concepisco. Però tutto deve durare 90’, se dura di più c’è qualcosa di sbagliato. Ma si sa, con i calciatori è facile prendersela. Vadano a lavorare, no? Come se a noi facesse piacere sbagliare un gol o prenderlo. Siamo i viziati, quelli da condannare, i miliardari. Poca fatica, tanti soldi. Gli altri sportivi ci odiano, ne ho avuto testimonianza».

    Alle Olimpiadi?

    «Sì. A Pechino nel 2008 entro in ascensore con Gibilisco, saltatore con l’asta, mi dà ostinatamente la schiena, si gira proprio dall’altra parte, e non mi saluta. Vuoi fare il Che Guevara? Ma vai a combattere in montagna. Incontro la Vezzali, anche lei tira dritto, senza degnarmi di un ciao. Ero in tuta, con la maglia azzurra, mica in costume. Quell’atteggiamento che disprezza, che si sente moralmente superiore, e te la vuole fare pagare. Ma che ci posso fare io se hanno sbagliato sport? Non guadagnano e se la prendono con me? Ci criticano: perché noi abbiamo viaggiato in business e loro in economica. È la nostra federazione che ha pagato la differenza. Invitassero la loro a fare così. Ho visto la giornata-tipo di Daniele Molmenti, canoa. Sono sincero: non farei mai quello sport. Troppa durezza e poche lire. Lo dico con ammirazione. Per me sono eroi».

    Lei ha la passione del gioco.

    «Sì anche a carte. E se vedo un casinò non posso non entrarci, con tutto il rispetto: vinco o perdo sono affari miei. Mi piace quel tipo di scommessa. Dicono: ma come l’adrenalina della partita non ti basta? A me giocare garba sempre».

    E anche fumare?
    «Sì. Ma non sono il solo, anche in nazionale la sigaretta piace. Pure se nessuno ci tiene alla pubblicità. Sarebbe meglio smettere, ma di notte mi viene una voglia pazzesca. Sarà che non sopporto i ritiri, li abolirei, un concentrato di noia. Il Barcellona non ci va in ritiro. Si potrebbe mangiare insieme, perché l’alimentazione è importante, e poi andare a dormire a casa. Ci vorrebbero giocatori maturi, sì. Non so se tutti noi lo siamo».

    Le piacciono altri campioni?

    «Federer nel tennis per l’eleganza. Non alza mai i toni, è bello, nel suo sport possiede l’alfabeto perfetto. Valentino Rossi per il coraggio e per la disponibilità a parlare con tutti. Gigi Buffon perché dice quello che pensa».

    Lei è stato messo fuori squadra per due mesi, 6 partite in panchina.
    «Stare fuori è doloroso, ma è l’allenatore che valuta. Per me non lo meritavo, però l’occhio esterno vede in maniera più fredda. A me i portieri acrobatici non piacciono, preferisco i sobri. E non credo che l’alternanza estrema faccia bene. L’altalena destabilizza, hai bisogno di tranquillità. C’è un numero uno e un numero due, se tutto si mischia diventa più complicato. E per me Stekelenburg è più forte di Goicoechea, capisco la sua reazione. Detto questo, stare in panchina mi ha fatto lavorare di più. Invidio Victor Valdes, perché al Barcellona non gli tirano mai in porta. E soffro gli attaccanti piccini e veloci».

    Firenze ha un portiere rocker.

    «A tatuaggi non sto male: geishe, teschio tibetano, serpenti, disegni maori sulla coscia, e naturalmente il giglio. Sui gusti musicali sono classico: Led Zeppelin e Metallica. Per il resto: se andiamo in Europa è bene, ma se resto alla Fiorentina è meglio».


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