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  • Gli Stones e il Nobel Dylan, fuoriclasse nel deserto: meglio di Maradona

    Gli Stones e il Nobel Dylan, fuoriclasse nel deserto: meglio di Maradona

    • Carlo Pallavicino, dal Desert Trip, Indio, California
    Se può esserci un momento nel quale l'età non conta o forse nemmeno esiste è il momento in cui i Rolling Stones salgono sul palco. Sessantenni, sessantacinquenni, ultra settantenni saltano insieme sulle sedie dell'immenso prato di Indio, California, abbandonando finalmente ritegno, figli e nipoti accanto a loro. A nulla valgono i rigidi rimbrotti delle hostess californiane. L'ordine è definitivamente saltato sul campo da Polo in mezzo al deserto di una notte d'ottobre a 35 gradi tra palme altissime e colline di roccia infinite. "Jumpin' flash back" sembra fatta apposta per aggredire la magia di due ore sospese nel tempo, due ore al termine delle quali mio figlio diciottenne scoprirà: "ma è così si ballava, ai tuoi tempi? Credevo facessi lo scemo apposta".

    È questa l'unica differenza che Mick Jagger e la sua straordinaria banda non riescono a colmare tra "noi" e "loro", i nostri figli. Ma chi se ne frega anzi, ognuno dei settantamila "ragazzi" si dimena come gli pare e piace unito agli altri dal vento che trascina l'odore dolce di marijuana (legale in California). Un pensionato davanti a me, identico allo sceriffo del west con tanto di baffetti e capelli bianchi, non resiste: si accorda con un suo coetaneo che sembra uscito da "The Office": "Fuori dall'albergo ho beccato un tipo, - strizza l'occhio - ne ha un bel po'. Domani sera (per il concerto di Paul MC Cartney e Neil Young) ci penso io". "Awesome" è il commento su di giri del commesso.

    Mick Jagger intanto, dopo aver omaggiato il Nobel a Dylan che lo aveva preceduto sul palco, gigioneggia felice sul palco con le sue solite ginocchia, le sue solite braccia, quello sguardo sfrontato al cielo che urla tutta la sua voglia di piacerci. E a noi piace da pazzi e speriamo solo che questo show non debba mai finire. Siamo come magnetizzati mentre ci fa uhueggiare al ritmo sulle note di "Miss You" e "Simpathy for the devil", o cantare i refrain di "Angie", "Midnight Rambler" e i bis finali con tanto di fuochi d'artificio sulle note di "You cant always get what you want" e ovviamente "Satisfaction". 
    Tutto è perfetto incluso il sax, il coro di giovani che introduce "you can't always get...", la cantante nera che fa un bellissimo duetto con Mick e arriva in soccorso all'adorabile sgangheratissimo, ormai senza quasi più voce, Keith Richards (foto Twitter), allegramente bollito e divertentissimo nei suoi duetti con Ronny Wood. Entrambe si concedono senza sosta in largo e in lungo per gli ottanta metri di palco in coast to coast sfrenati chitarra a tracolla degni del miglior Weah. 

    Ed è l'omaggio più intenso al delirio di fan canadesi, francesi, italiani, russi, brasiliani, cinesi e decine di migliaia di americani che hanno voluto essere immortali, almeno per un notte. 

    Senza sorprese è stato invece Bob Dylan che aveva avviato questa tre giorni di musica nel deserto della California che qualcuno ha perfino accostato a Woodstock. Stasera, stanotte per l'Italia, si riprende con Paul MC Cartney e Neil Young per poi chiudere domani domenica con gli Who e Roger Waters.
    Non me ne intendo e non mi interessa dare giudizi su questa iniziativa da punto di vista musicale. Credo che nessuno possa aspettarsi chissà cosa da fuoriclasse del genere che hanno raggiunto ampiamente i limiti di età "consentiti" se non altro dalla natura. Ma se per il calcio è impossibile rivedere Maradona giocare novanta minuti come un tempo, nella musica fortunatamente i miracoli esistono.

    Tutti, ad eccezione di uno: quello che Bob Dylan possa proferire una singola parola che non esca dalle sue canzoni. D'altra parte se non si è fatto trovare neanche da Odd Zschiedrich che lo cerca da giorni da Stoccolma per comunicargli ufficialmente la vittoria del premio Nobel, cosa potevamo aspettarci noi ingenui spettatori che avevamo pure provato a stuzzicarlo con un "Happy Nobel dear Bob" sulle note di Happy Birthday? 
    Non una parola, dunque, ma neanche un sorriso perché per la stragrande maggioranza degli spettatori che erano troppo distanti dal palco e che dovevano dunque accontentarsi degli schermi, non è stato possibile guardarlo in faccia. Disposizioni del manager. Niente fotografi, niente inquadrature frontali, solo i mitici riccioli. Troppo invecchiato? Chi se ne frega, peccato semmai che io non riconosca il remake di ogni singola canzone (tranne "like a Rolling Stone"...) e tocchi a mia figlia ventenne consolarmi premurosa: "Babbo, è "Simple twist of fate" non te la ricordi?" 

    Carlo Pallavicino, dal Desert Trip, Indio, California

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