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  • I giovani cannibali del Las Palmas e l'incapacità d'insegnare il rispetto
I giovani cannibali del Las Palmas e l'incapacità d'insegnare il rispetto

I giovani cannibali del Las Palmas e l'incapacità d'insegnare il rispetto

  • Pippo Russo
Scritto per esteso desta ancora più impressione: quarantasette a zero. È il punteggio inflitto dalla squadra degli Alevines B (corrispondente alla categoria Esordienti) del Las Palmas ai coetanei del Coloradas, al termine di una partita giocata sabato scorso. Un massacro che via web ha destato indignazione, e che risulta ancora più impressionante se si prende in considerazione un altro dato numerico. C'è infatti che una gara di Alevines B dura 70 minuti, non 90. E oltre a chiedersi quale livello astronomico potesse raggiungere il punteggio qualora si fosse giocato una partita da 90 minuti, non si può non notare che i ragazzini del Las Palmas abbiano viaggiato alla media di un gol ogni 89,3 secondi. A ogni minuto e mezzo che passava, veniva annotata una marcatura. E se si considera il tempo che si perde fra un gol e l'altro, per smaltire il rito delle esultanze e riportare la palla al centro, viene fuori che i vincitori abbiano segnato un gol per ogni azione condotta, o quasi. Una squadra di piccoli cannibali che si è avventata contro l'avversaria più debole del girone e non  le ha risparmiato nulla. Da una parte la mancanza di pietà, dall'altra l'umiliazione di portata storica.

Non è la prima volta che nel calcio giovanile si verifica un caso così eclatante di disparità di forze. E a ogni occasione s'innesca il dibattito sul messaggio devastante che ne deriva in termini educativi. C'è infatti lo smacco subìto dai ragazzi che se ne sono tornati a casa con un record negativo da portarsi dietro per sempre come fardello. Ma c'è anche l'insensata prova di forza esibita dai ragazzini del Las Palmas, incapaci di fermarsi davanti a avversari inermi. Soprattutto, c'è l'omissione di intervento da parte di chi allena questi giovani cannibali, e che dopo un primo tempo chiuso 24-0 avrebbe dovuto tenerli a freno. E invece niente, perché nella ripresa il rendimento è stato pressoché identico: 23 gol nei secondi 35 minuti, dopo i 24 di primi 35. Davvero non si poteva evitare questa carneficina?

Questa vicenda riporta all'attualità un dilemma vecchio quanto lo sport: è più etico dare fino in fondo il massimo delle proprie possibilità, o piuttosto arriva un momento della gara in cui bisogna astenersi dall'infierire? Scelta difficile, tanto più che non esiste una risposta valida in assoluto. Né si può dare un significato univoco all'atteggiamento che si decide di scegliere. Per esempio, se la squadra nettamente più forte sceglie palesemente di non infierire, ecco che per la squadra nettamente inferiore arriva un'umiliazione di altro tipo. Perché vedere gli avversari giochicchiare col solo obiettivo di non farti ulteriormente male accresce il tuo senso d'inadeguatezza. E allora, a quel punto, è quasi meno peggio vedere il tuo avversario continuare a prenderti sul serio e giocarsela al meglio facendoti male. E tuttavia, rimane il fatto che a un certo punto bisogna rallentare. Stai stravincendo, non incontri più resistenze, eserciti forza contro un oppositore che non oppone più nemmeno la presenza in campo. Ma cosa te ne fai di tanta esibizione di potenza? È una cosa irrispettosa verso l'avversario, sottoposto a umiliazione. Ma è irrispettoso anche verso te stesso, perché annulla il tuo senso del limite. Che sport è se giochi da solo? E poiché stiamo parlando di ragazzini, il danno è ancora più grave perché si tratta d'un mancato esercizio di funzione pedagogica. Temo che troppo spesso gli allenatori delle squadre giovanili dimentichino di essere anche e soprattutto degli educatori. Hanno una responsabilità doppia. E delle due responsabilità, quella d'insegnare a giocare a pallone è nettamente la meno importante. Bisognerebbe rammentarlo più spesso, a chi dalla panchina trasforma dei ragazzini di 10-12 anni in spietate macchine da guerra calcistica.

@pippoevai 

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