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  • Il leone del Camerun si è svegliato, ma non fatelo sapere a Dino Zoff!

    Il leone del Camerun si è svegliato, ma non fatelo sapere a Dino Zoff!

    • Marco Bernardini
    Pelè, insieme con Maradona, è stato il più grande giocatore della storia calcistica. Anche lui però, come tutti gli umani, non sempre ci azzeccava. Perlomeno non a livello di previsioni. Rammento, per esempio, una sua riflessione ormai abbondantemente datata nel tempo. “Entro il Duemila una squadra africana vincerà il Mondiale”. Un paletto superato da diciassette anni senza che l’evento vaticinato dalla Perla Nera brasiliana si sia realizzato. Le ragioni che motivano l’assenza di un Paese del Continente Nero dal libro d’oro del pallone internazionale non sono, ovviamente, soltanto di carattere sportivo o tecnico. In ogni caso il gap che esiste tra il calcio europeo e quello africano, al quale le contaminazioni tattiche francesi non hanno dato alcun frutto, è ancora enorme. Tanto che, a occhio, arriveranno prima i cinesi a contrapporsi come forza in campo al dominio occidentale.

    La Coppa d’Africa appena conclusa con il successo imprevisto del Camerun sull’Egitto di Hector Cuper ha confermato questa tendenza di mancata crescita che costringe l’Africa calcistica al palo rispetto al resto del mondo. Un vero peccato perchè, sul piano del valore fisico e su quello della fantasia talvolta spericolata, le squadre africane avrebbero molto da dire nel capitolo dello spettacolo fine a se stesso. Purtroppo i giocatori di quella terra, salvo rari esempi, non possiedono il “cuore” che affonda le radici nel loro luogo di appartenenza. In particolare i giovani, i quali rifiutano la convocazione in nazionale a beneficio dei club europei che li pagano. Specialmente quelli del Camerun che, a dispetto dei “traditori” ha vinto egualmente.

    Una nazione, quella camerunense, che specialmente a noi italiani scuote la scatola della memoria imponendoci di ripensare ad avvenimenti, belli e meno belli, di un passato che seppure lontano di trentacinque anni gioca ancora un ruolo rilevante negli appassionati del pallone. Impossibile non tornare al quel magico 1982 a ai giorni di Vigo, in Galizia, quando gli azzurri entrarono in campo per giocarsi la partita del “vivi o muori” proprio contro i Leoni d’Africa. Finì in parità e quel risultato stitico di permise di passare il turno e di chiudere trionfalmente a Madrid dopo essere transitati per Barcellona dove i ragazzi di Enzo Bearzot asfaltarono prima l’Argentina di Maradona e poi il Brasile di Falcao. Una partita quella contro il Camerun che si lasciò alle spalle una scia di veleni e di illazioni vergognose perché non vere. La “famosa combine” tra la nostra Federazione e quella africana, con la mediazione dello sponsor che era “Le coq sportif”, peraltro mai provata neppure dagli irriducibili disfattisti, per favorire il passaggio del turno agli azzurri.

    Del Camerun facevano parte due “stelle” come il portiere Tommy N’Kono e l’attaccante Roger Milla. Ebbene, mesi dopo il  Mondiale e in pieno gossip scandalistico, per “Tuttosport” tornai a Barcellona dove il portiere africano giocava nell’Espanol. Tra l’altro la squadra il cui campo era il Sarria che oggi non esiste più. Il mio compito era quello di indagare e possibilmente scoprire semmai dietro tutto quel frastuono di possibile biscotto vi fosse qualche elemento credibile. Ricevetti una lezione da N’Kono il quale mi disse: “Certo che voi italiani siete veramente dei personaggi strani e anche masochisti. Riuscite a sporcare con le chiacchiere e i sospetti anche quel poco di buono che siete riusciti a realizzare. E ciò che avete fatto al Mondiale è stato addirittura splendido”. Non andai oltre nell’intervista. Non ne avevo bisogno. Tornado a casa ripensai a Dino Zoff che mi aveva messo il telefono in faccia quando gli avevo detto che sarei andato in Spagna per capire di più su quella partita. “Ma, dài, vergognati…e te lo dico anche a nome del Vecio”. Mi disse prima di interrompere la comunicazione. E’ probabile che Dino non abbia guardato la finale tra Camerun ed Egitto. Per non incazzarsi di nuovo, dopo tentacinque anni.

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