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  • Il primo Conte: grande già ad Arezzo

    Il primo Conte: grande già ad Arezzo

    • Luca Borioni
    Antonio Conte è sempre stato così: appassionato del mestiere di calciatore prima, entusiasta di quello di allenatore poi. Maniacalmente attento ai dettagli. Esplosivo, dinamico, inarrestabile, curioso, focoso.

    Doti che ne hanno fatto un trascinatore, che lo hanno reso uno dei migliori allenatori al mondo. “Il migliore d’Europa” ha detto Carlo Ancelotti, ovvero uno che di bravi tecnici se ne intende e che a dire il vero sul tetto d’Europa è già salito da un po’, a suon di risultati tra una big continentale all’altra. Quello stesso Ancelotti che un giorno, quando Antonio Conte aveva appena iniziato l’avventura da titolare della panchina dell’Arezzo, prese da parte Ermanno Pieroni, il ds che aveva puntato sull’ex vice di De Canio a Siena, per raccomandargli: “Trattami bene Antonio, farà grandi cose”.

    La testimonianza è di Pieroni stesso, che aggiunge altri dettagli, legati alla prima partita di Conte con l’Arezzo, una trasferta sul campo del neopromosso Frosinone, campionato di serie B stagione 2006-2007, arbitro un altro debuttante: Orsato. Pareggio senza reti, con un rigore per l’Arezzo fallito da Floro Flores. A fine gara il dg gialloblù Enrico Graziani si complimenta con i rivali: “Ci è andata bene, ma dove potevamo andare con la differenza di gioco che si è vista in campo? Conte in pochi anni arriverà sulla panchina di una grande, ne sono sicuro”. Nonostante lo 0-0 l’Arezzo aveva incantato. Era la squadra del 4-2-4, con gli esterni bassi che in fase offensiva diventavano attaccanti aggiunti. Un credo tattico che Conte si è portato dietro, anche dopo l’approdo in bianconero, salvo prendere atto dell’impareggiabile affidabilità del trio Barzagli-Bonucci-Chiellini e adattando le sue idee al 3-5-2.

    Perché un’altra preziosa e forse impensabile dote di Conte è la sua capacità di cambiare idea, di prendere atto di fattori nuovi, adeguando convinzioni e idee. Un segnale che rivela intelligenza. Del resto, si dice che appena arrivato alla Juventus, quella dei due settimi posti consecutivi prima di lui, avesse commentato aspramente il primo colpo firmato da Marotta, dicendo (immaginiamo l’imitazione degli Autogol): “Eccolo là, dead man walking m’hanno preso…” riferendosi a un certo Pirlo che all’epoca veniva dipinto in fase calante, se non a fine carriera. Eppure Pirlo è stato il perno sul quale il gioco entusiasmante di quella Juve scudettata tre volte su tre si è fondato.

    Pieroni ricorda un Conte orgoglioso, forse ferito da giocatore quando con l’arrivo di Lippi alla Juventus gli chiesero di passare la fascia di capitano al giovane Alessandro Del Piero. Che siano nati lì i dissapori che coincisero con l’addio un po’ brusco di Alex alla Juve, aldilà dei contrasti contrattuali con dirigenza e proprietà?

    Orgoglioso e infiammabile, come da origini salentine, Conte ebbe ad Arezzo, in quella prima stagione da allenatore vero (Pieroni sorride ricordandolo l’anno prima vice di De Canio: ma lo immaginate uno così secondo di qualsiasi altro tecnico? Improponibile) un rapporto non facile con la stampa. “Era abituato a Torino, ai media nazionali, fece fatica a creare un rapporto equilibrato. A volte perdeva la pazienza, a volte in partita rimediò qualche espulsione. Ma erano i sintomi di un carattere forte, da trascinatore. E oggi ne vediamo i risultati migliori”. Sempre senza voce, perché in partita deve tenere per mano i ragazzi ogni secondo, dando suggerimenti, indicazioni, rimbrotti. Ad Arezzo infatti allenava con il megafono per preservare la voce in partita.

    Conte è uno che sa cosa vuole e che però – abbiamo detto – se necessario cambia idea. Ad Arezzo avrebbe voluto con se’ il preparatore Ventrone, ex Juve, ma Pieroni tenne duro insistendo per uno staff composto da alcuni giovani: tra questi c’era Costantino Coratti, che ora fa parte della spedizione azzurra in Francia. Conte ovviamente è anche uno che non dimentica: “Ho incontrato Antonio – spiega Pieroni - due anni fa in vacanza a San Benedetto del Tronto. Mi ha firmato un libro profetico che La Gazzetta aveva appena messo in vendita (“Conte l’invincibile”) con una dedica che serbo tra i migliori ricordi: al mio primo direttore… Ne sono fiero e gli auguro, come tutti, di continuare a vincere. Intanto un miracolo l’ha già fatto: grazie a lui sono rispuntate ovunque tante bandiere tricolori”.

     

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