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  • 'Inter, non bastano equilibrio e umiltà. Ecco cosa serve per tornare grandi…'

    'Inter, non bastano equilibrio e umiltà. Ecco cosa serve per tornare grandi…'

    Da VivoPerLei,
    Tarquez scrive:


    Sembra strano associare questi due termini alla società meneghina, la "pazza inter", che da sempre alterna mesi di torpore e disattenzione a periodi focosi o rimonte ai confini della realtà. Addirittura, nel suo inno ufficiale (che fortunatamente ha ripreso a risuonare fra le pareti del Meazza, per la felicità dei tifosi), viene imposto di "amarla" così com'è, nella sua follia, tra exploit e sofferenze.

    Ma ora come ora un tifoso interista non può che provare un lieve smacco: vuoi per le vane illusioni della prima parte del campionato deluse prontamente dopo il "giro di boa", vuoi per l'atmosfera tesa che si aggira da tempo intorno a squadra e soprattutto allenatore, vuoi per la malinconia legata all'ormai evidente uscita di scena di un personaggio autentico come Massimo Moratti. Infine, e soprattutto, per la Champions League che sfuma sullo sfondo per l'ennesima volta negli ultimi anni, come un fuoco fatuo. Ma se ci si volta al passato prossimo, si può imparare qualcosa, come sempre. 

    Basta tornare indietro di qualche anno, spiare dalla finestra come faceva Ebenezer Scrooge nel canto di Natale: di sicuro l'interista vedrebbe la serie di scudetti della prima era Mancini, colorati dalle acrobazie di ibra, oppure le finte ubriacanti di Milito durante la storica notte di Madrid. Ma i più attenti vedrebbero qualcos'altro: l'equilibrio. Mentale e fisico. È proprio questo che ha contraddistinto l'inter vincente degli ultimi anni: un mercato ambizioso ma ben dosato, caratterizzato da una grande lucidità nel sapere riconoscere i propri valori e soprattutto il limite fra ciò che è sacrificabile e ciò che va custodito con cura; una serenità, una costanza, un'unione nello spogliatoio proprie di un grande club; un Eto'o che difende come un terzino e un Maicon che spinge come un attaccante; il sorriso stampato sui volti e la concentrazione che trasuda dai piedi.
    Insomma: un grande equilibrio, frutto di professionalità e capacità di adattamento.

    Ma c'è una cosa che appare lampante paragonando quell'inter a quella attuale: il divario qualitativo della rosa ( sto pensando all'ultima sfida con la Roma, in cui il primo cambio disponibile dalla panchina era rappresentato da Manaj, classe '97).

    Per questo serve una seconda parola che possa colmare questo gap. Ed è l'umiltà. L'umiltà di chi sa rincorrere, di chi sa rinnovarsi costantemente, di chi sa riconoscere i propri limiti e la propria inferiorità prima di farsi travolgere da essi quando è troppo tardi. Ma soprattutto l'umiltà di chi sa lavorare con pazienza e precisione per avere risultati forse più lontani, ma più solidi e duraturi. 
    Ma forse mi sono scordato qualcosa, perché in realtà c'è una terza parola magica, che forse c'entra poco con le altre due, ma senza la quale l'Inter perderebbe la sua identità e forse anche l'affetto dei suoi tifosi. La pazzia.
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