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  • Italia del tifo: meno stadi, più tv e web

    Italia del tifo: meno stadi, più tv e web

    La Repubblica in edicola oggi riporta un'interessante indagine di Demos-coop sui tifosi di calcio in Italia. Malgrado un Mondiale da dimenticare i sostenitori non calano, anzi salgono dal 36 al 40%. Il nuovo ct Conte gode di grande consenso e gli arbitri ispirano fiducia, ma solo due su dieci stimano il presidente federale Tavecchio dopo le gaffe razzista sui 'mangia-banane'. 

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    di Ilvio Diamanti (La Repubblica): Eppur si tifa. 
    L'ATLANTE del tifo, curato da Demos-coop, quest'anno propone orientamenti coerenti rispetto agli ultimi anni. Almeno, sotto il profilo delle "appartenenze" e delle passioni degli italiani verso il calcio. La brutta figura della nazionale ai recenti mondiali in Brasile, dunque, non ha ridimensionato il tifo degli italiani. Al contrario, la quota delle persone che si sentono tifosi, nell'ultimo anno, è perfino cresciuta, seppure non di molto. Dal 36% al 40%. Anche se questo significa circa 12 punti in meno rispetto al 2010. Peraltro, fra i tifosi è aumentata soprattutto la componente "tiepida", a scapito di quella più "militante". Che oggi coinvolge, comunque, quasi 4 tifosi su 10. Allo stadio, d'altronde, ci va una minoranza. In calo, rispetto agli ultimi anni. Così la "passione" si coltiva a distanza. Di fronte alla TV, ascoltando la radio (i giovanissimi, soprattutto). Sfruttando le infinite possibilità di connessione offerte da pc, tablet e smartphone. Tuttavia, il tifo resta un sentimento diffuso. E, se ne osserviamo le distinzioni e gli orientamenti, incredibilmente stabile. 

    D'altra parte, il tifo è alimentato da ragioni diverse. Fra le altre: i campanilismi, l'attaccamento locale. E il risultato. Le vittorie. Insieme producono e riproducono un senso di identità, che si rafforza attraverso le affermazioni della squadra. Almeno, per quel che riguarda le componenti più "tiepide" e meno militanti. Per questo la geografia e la graduatoria del tifo, negli ultimi anni, non sono cambiate. Perché, da qualche tempo, la gerarchia del calcio in Italia appare stabile, quasi statica. Gli ultimi campionati, infatti, sono stati vinti dalla stessa squadra. La Juventus. Mentre le concorrenti si sono avvicendate, ma restano le stesse. Oltre alle tradizionali avversarie, Inter e Milan, il primato della Juve è stato sfidato dal Napoli e dalla Roma. Così, anche la graduatoria del tifo, negli ultimi anni, presenta poche e limitate oscillazioni. La Juve resta la più amata dagli italiani, con il 31% di sostenitori. Seguita dalle due milanesi, Inter e Milan, entrambe con circa il 18% dei tifosi. Quindi il Napoli e la Roma. E a seguire le altre. Queste 5 squadre, insieme, riassumono circa l'80% dei tifosi. Ma solo le prime tre superano i confini regionali. Soprattutto la Juve, prima, per numero di tifosi, in tutte le aree del Paese.


    Il tifo degli italiani, comunque, non si esaurisce in queste squadre. Tutte le città italiane, più o meno grandi, hanno una base di tifosi. Fedele. Come le città più piccole. Non a caso, quasi metà dei tifosi delle squadre maggiori afferma di seguire, in modo continuo, le partite dei campionati "minori" (ma solo nella gerarchia federale). Cioè, dei dilettanti. Così, assistiamo a "fedeltà incrociate", fra appartenenze locali e nazionali di lunga durata. Un po' come nella politica di un tempo. Perché oggi è più facile, molto più facile, cambiare fede politica che calcistica. Soprattutto dopo la fine dei partiti di massa. Che accompagnavano le persone "dalla culla alla tomba", nei luoghi di vita (e non solo...). Nelle elezioni del 2013, invece, oltre 4 elettori su 10 hanno cambiato partito. L'elettore, dunque, è divenuto mobile. Le appartenenze tradizionali, in qualche misura, sono state sostituite dalla fedeltà alle squadre di calcio. E ai loro colori. Le bandiere bianco o rosso nere. Oppure nerazzurre. O ancora: giallorosse, viola, bianco-azzurre. Oggi suscitano maggiore attaccamento di quelle "rosse". Anche perché sono rimasti in pochi a sventolarle, dopo la stagione post-ideologica, che ha tradotto i comunisti (la larga maggioranza di essi, almeno) in post (comunisti). Fino alla confluenza nel PD. (Renzi, infatti, indossa la camicia bianca...).

    Così, il calcio ha preso il posto della politica. Sotto diversi profili. Come nella politica di un tempo, il senso di antagonismo conta ancora molto. Quanto il senso di vicinanza. E forse anche di più. Come quando i muri della nostra politica erano segnati dall'anticomunismo e dall'antiberlusconismo. Così, oltre metà dei tifosi è fatta di anti-tifosi. Provano ostilità e risentimento verso una squadra. Soprattutto, la Juventus. Ma anche Inter e Milan. Le più amate e, per questo, le più detestate. Come fra i cittadini, peraltro, la sfiducia contagia anche i tifosi. E si indirizza contro la Federazione, cioè, la Figc. Ma ancor più contro il presidente, Carlo Tavecchio. "Stimato" (si fa per dire...) da circa 2 tifosi su 10, appena. Il razzismo negli stadi, d'altronde, è considerato, dal "popolo del calcio", un problema serio. Anzi, grave. Così, è sicuramente difficile che i tifosi possano esprimere fiducia verso chi, riferendosi ai giovani calciatori di colore che giungono in Italia, parla di tanti "optì pobà che fino a ieri mangiavano banane".

    Per questo motivo sorprende, ma non troppo, l'elevato grado di fiducia nei confronti degli arbitri. Riflette la domanda di legalità e, parallelamente, la sfiducia nei confronti delle istituzioni. Gli arbitri, insomma, appaiono un po' come i magistrati, dopo la stagione di Tangentopoli (in questo caso, Calciopoli). Ma soprattutto, a questo proposito, è significativo il grande credito verso Antonio Conte. Ieri allenatore della Juve, ma oggi alla guida della Nazionale. Antonio Conte non è solo un vincente. È una figura determinata, dura. Un leader carismatico e decisionista. La grande fiducia dei tifosi nei suoi confronti non risponde solo all'esigenza di riscatto del nostro calcio, sul piano internazionale, dopo la disfatta in Brasile. Il grande sostegno di cui egli dispone, in modo trasversale, in tutte le tifoserie, è, in fondo, l'ultimo, e più evidente richiamo alla politica dei nostri tempi. Perché evoca l'importanza del leader. Del Capo. Di una figura pubblica in cui riconoscersi. In cui credere. Poi, ovviamente, sarà il campo a rafforzare oppure a ridimensionare questa complicità. Visto che, nel calcio, la "fede" nei condottieri (calciatori e allenatori) impiega poco a raffreddarsi. Ma, per ora, Conte è il "grande sacerdote" che unisce i fedeli della religione del calcio in Italia. Al di là delle chiese e delle sette a cui noi tifosi apparteniamo. 


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