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  • Italia, solo il 7,8% dei talenti del vivaio in prima squadra. Comanda la Spagna
Italia, solo il 7,8% dei talenti del vivaio in prima squadra. Comanda la Spagna

Italia, solo il 7,8% dei talenti del vivaio in prima squadra. Comanda la Spagna

E' il 14° minuto di Levante-Barcellona, stadio Ciutat de Valencia, 25 novembre 2012: Daniel Alves non ce la fa, chiede il cambio e al suo posto entra Martin Montoya. Un episodio insignificante, all'interno di un ordinario successo per i blaugrana? Sì, o forse no, per niente. Quel giorno, per la prima volta nella sua storia, il Barça schierò in campo contemporaneamente 11 giocatori cresciuti nel vivaio: Valdes; Montoya, Piqué, Puyol, Jordi Alba; Xavi, Busquets, Iniesta; Pedro, Messi, Fabregas. Risultato finale del match: La Masia (pardon: Barça) batte Levante 4 a 0. I prodotti della magica "cantera" catalana de La Masia sono un caso limite, è chiaro, ma in Spagna si è da tempo consolidata la tendenza a plasmare direttamente i giocatori su cui si farà affidamento in futuro: la Liga è il campionato europeo nel quale i club utilizzano maggiormente i giocatori provenienti dal proprio settore giovanile. E' "fatto in casa" il 25,9% degli effettivi: in pratica, un quarto della rosa è garantito senza far ricorso al mercato.

Ora che vi abbiamo detto chi è primo in questa categoria, vi dobbiamo anche il nome dell'ultimo classificato: non andiamo tanto lontano, l'Italia è il fanalino di coda con un misero 7,8%. Hai voglia a parlare di "puntare sui vivai per uscire dalla crisi...".  Doverosa premessa metodologica: della rilevazione di questi dati si è occupato l'osservatorio svizzero "CIES Football", prendendo in considerazione i 31 principali campionati Uefa in Europa. Ai fini di queste statistiche, un giocatore "allevato" in una squadra fin dalla più tenera età è equiparato a un ragazzo "importato" dall'estero da adolescente e fatto maturare nel settore giovanile, prima di essere lanciato tra i big. In altre parole, Xavi per il Barça è assimilato a Macheda per il Manchester Utd, Marchisio della Juve vale come Alaba del Bayern. E' il motivo per cui la Premier League si mantiene su discreti livelli di ricorso alle Academy (17,5%): tra i Paesi "top class", che rispetto a quelli di fascia inferiore ricorrono più massicciamente al calciomercato, gli inglesi sono dietro alla Ligue 1 francese (21,1%), ma sorprendentemente davanti alla Bundesliga tedesca (14,7%).

 A CACCIA DI PUNTE — Italiani e inglesi sono quelli che pescano di più tra gli stranieri: oltre il 50% dei giocatori in prima squadra, in serie A e in Premier League, sono cresciuti in una federazione calcistica diversa da quella nazionale (la media europea è 36.1%). E molto interessante è anche la tipologia di giocatori richiesta sul mercato: si tende a dar più fiducia ai portieri del vivaio (25,9%) rispetto ai terzini (22,5%), ai centrocampisti offensivi (22,2%), ai mediani (21,6%), ma soprattutto ai difensori centrali (18,8%) e agli attaccanti (17,4%).

NORME SFAVOREVOLI — Ma perché l'Italia, che nelle dichiarazioni degli addetti ai lavori può far fronte alla crisi economica del suo calcio solo ricorrendo ai vivai, è in realtà così indietro, da questo punto di vista? E' arduo individuare due o tre cause che esauriscano tutto il problema, ovviamente, come sarebbe assurdo riassumere in poche righe un argomento così grosso e così ricco di spunti di riflessione. Di certo, un primo ostacolo è costituito dalla facilità con cui i nostri talenti sono "depredabili" da parte dei club esteri, anzitutto quelli di Premier League (ricordate i casi di Rossi, Lupoli, Macheda, Petrucci, etc.?). E' una questione regolamentare (e lì dovrebbe essere la Uefa a mettere qualche regola "protettiva" in più) e anche formale, vista la difficoltà di trovare un tipo di contratto che i ragazzi di talento possano firmare, a tutela dei club che li ha formati come calciatori. Negli ultimi anni, spesso e volentieri le squadre coi vivai più floridi (Atalanta su tutti) hanno dovuto forzatamente accettare l'indennizzo che il club acquirente proponeva, non potendo competere con l'offerta ricevuta dal giocatore (e magari anche dalla sua famiglia) per trasferirsi.

MENTALITÀ — L'altro punto fondamentale, però, è la filosofia che sta alle base del modo di "fare calcio" in serie A. E lì non ci sono scuse, è questione di mentalità. Il Barcellona che adotta lo stesso modulo tattico e lo stesso stile di gioco dalle selezioni giovanili fino alla prima squadra è un caso più unico che raro, si sa. I "modelli Barça" non nascono tutti i giorni, né spuntano come i funghi. Ma in Europa sono in tanti a lavorare sui prodotti del vivaio in funzione di ciò che quegli stessi ragazzi potranno rappresentare per la prima squadra. Un conto è creare giocatori che, a vent'anni, sono pronti per giocare nella tua squadra come in un'altra: un altro è plasmare nella Juve un giocatore "da Juve", nel Milan un giocatore "da Milan" e nell'Inter un giocatore "da Inter", che arrivi pronto al salto di qualità definitivo. Ragazzi che costituiscano per i loro futuri tecnici un valore aggiunto tale da meritarsi almeno una chance, prima di ricorrere al mercato come alternativa. Giovani che conoscano l'ambiente, il sistema di gioco, lo spirito del loro club. E che si meritino la fiducia di chi li ha lanciati, sempre nell'ottica della costruzione di un progetto a medio-lungo termine. Forse siamo lontani da una prospettiva come questa, ma se mai si comincia...

(gazzetta.it)

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