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  • Jorge 'El Lobo' Carrascosa: l'uomo che non volle alzare la Coppa del Mondo

    Jorge 'El Lobo' Carrascosa: l'uomo che non volle alzare la Coppa del Mondo

    • Remo Gandolfi
    Credo che questa sia “la storia” fra tutte quelle che si possono raccontare nel secolo abbondante di partite, tragedie, trofei, eroi e farabutti del calcio argentino. La più raccontata, dibattuta e contraddittoria fra tutte quelle che il mondo del calcio argentino abbia mai vissuto.

    E’ la storia di un terzino, non particolarmente dotato da un punto di vista tecnico ma con una dedizione, una grinta, una voglia di vincere che lo hanno reso famoso come “El Lobo”, il lupo, proprio per queste caratteristiche di chi davvero non molla mai.

    Jorge Carrascosa nasce a Valentin Alsina (Buenos Aires) il giorno di Ferragosto del 1948. Muove i primi passi nel Banfield dove esordisce in prima squadra a 19 anni. Un paio di stagioni dopo arriva il trasferimento al Rosario Central con il quale “El Lobo” vince  il Campionato Nacional nel 1971. L’anno prima ha già esordito in Nazionale e il suo gioco ruvido ma tenace, di grande spessore agonistico e di capacità di grande concentrazione per tutti i 90 minuti ha già attirato l’attenzione dei tecnici della Nazionale argentina. Nel 1973 Cesar Menotti lo porta all’Huracan e Carrascosa diventa pietra miliare di quella meravigliosa squadra che vince dando spettacolo il Metropolitano del 1973. Con lui, in quella squadra ci sono fra gli altri il suo grande amico René Houseman, Carlos Babington, Miguel Angel Brindisi che con Carrascosa faranno parte della spedizione ai Mondiali di Germania del 1974.

    Carrascosa passerà alla storia per il suo grande “rifiuto” a giocare i Mondiali del 1978, quelli di casa, quelli dove l’amico e mentore Cesar Menotti fa il Selezionatore, quelli dove Carrascosa avrebbe giocato con la fascia di capitano al braccio. Ma ad un mese circa dall’ufficializzazione dei 22 convocati Carrascosa comunica a Menotti, con cui si sente regolarmente da anni, la sua decisione; non giocherà i Mondiali organizzati dal suo Paese e forse i primi, nella storia, dove l’Argentina ha realistiche possibilità di vittoria.

    Per tanti, ancora oggi, il motivo del rifiuto è uno soltanto; Carrascosa è sempre stato un uomo di sinistra e l’idea di giocare per una dittatura sanguinaria e fascista non riesce proprio a contemplarla. Figuriamoci poi la possibilità, neppure tanto remota, di ricevere direttamente dalle mani del “Asesino Videla” la Coppa tanto sognata!

    Non solo, al termine della stagione successiva, si ritirerà, a soli 31 anni, dal calcio lasciando anche la sua fascia da capitano nel suo amato Huracan (nonostante avesse ancora due anni di contratto).

    Ma se questa è la versione ufficiale e raccontata ancora oggi da più parti, il disagio del “Lobo” ha ragioni molto più profonde e che coinvolgono tantissimi aspetti, anche umani, e che lo hanno portato ad una decisione così estrema, contraddittoria e sicuramente coraggiosa.

    Nei primi anni ’70 il calcio sta cambiando, l’Ajax di Amsterdam prima e la Nazionale Olandese in seguito hanno rivoluzionato il mondo del pallone. La “prestazione” sta iniziando a sostituire la bellezza estetica del gioco, correre diventa sempre più importante. Iniziano a circolare stimolanti, droghe vere e proprie che innalzano il livello della “prestazione”. Il gioco fantasioso, creativo e un po’ anarchico di giocatori come il suo amico Houseman sta facendo posto ad un calcio sempre più aggressivo e fisico. Inoltre le voci su partite comprate e vendute con estrema facilità nel campionato argentino girano con sempre maggiore frequenza e soprattutto con sempre più evidenza e riscontro. Nel 1974, proprio ai Mondiali di Germania, accade un’altra cosa che segnerà profondamente il progressivo rifiuto di Jorge verso quel mondo che era stato da sempre il suo.

    L’Argentina per qualificarsi alla seconda fase deve battere la piccola nazionale di Haiti con almeno tre gol di scarto ma questo non è sufficiente se nell’altro match la Polonia, già matematicamente qualificata, non riesce ad avere la meglio sugli azzurri di Valcareggi, di Riva e Rivera. La Federazione, con l’appoggio consenziente della gran parte dei giocatori e dello staff, decide di mettere mano al portafogli incentivando con una importante somma di denaro (si parla di 25.000 dollari) la prestazione dei polacchi che infatti giocano una partita attenta e determinata eliminando gli azzurri e rendendo possibile la qualificazione al secondo turno della “Albiceleste”.

    Questo non era più il mio calcio” dirà Carrascosa diversi anni dopo in una delle sue rarissime interviste “se un incentivo economico è lo stimolo per giocare meglio a questo meraviglioso sport vuol dire che c’è qualcosa che non va”.

    Proprio la Polonia torna prepotentemente nella storia professionale e umana di Carrascosa. Due anni dopo infatti, il 24 marzo del 1976, mentre la Dittatura dei Generali sta prendendo il potere con un terribile colpo di stato, la Nazionale Argentina è impegnata in un tour all’estero e proprio quel giorno deve disputare una partita amichevole contro la nazionale polacca. Le voci che arrivano dalla Patria natia sono confuse e contraddittorie. C’è grande timore nei giocatori per le famiglie a casa … a maggior ragione per quelli come Carrascosa o lo stesso Menotti che sono conosciuti alla giunta come uomini di sinistra, e quindi potenziali sovversivi e oppositori al regime. La squadra vorrebbe rientrare immediatamente in Argentina ma arriva una telefonata dai Generali (si parla addirittura di Videla in persona) “Voi pensate a giocare e a vincere. Anche questo è un segnale importante che dobbiamo dare al Paese” Quella partita sarà l’unica trasmissione televisiva di quel giorno oltre ai continui comunicati della Giunta appena insediatasi.

    E così avviene. Tra lo sbigottimento e il disgusto di molti giocatori la partita si gioca. Mario Kempes, proprio l’eroe del mondiale argentino, ha una crisi di pianto inconsolabile; vuol tornare in Argentina immediatamente. A fatica i compagni riescono a tranquillizzarlo. Come detto la partita viene trasmessa in diretta nel Paese e il Paese si ferma per ammirare i propri eroi. Quelli che da lì a due anni avranno il compito di portare per la prima volta la Coppa del Mondo nella Patria del tango e dell’asado. Per quanto poco possa contare, l’Argentina vince 2 a 1.

    Questo è un altro colpo terribile da assorbire per un uomo valoriale e onesto come “El Lobo”. Sempre più domande a cui diventa sempre più difficile dare risposta. Il calcio sta diventando sempre di più “mercato” perdendo via via le sue caratteristiche ludiche e romantiche. In più ora si sta trasformando in un importante ingranaggio nelle mani del regime e della sua propaganda. I suoi malumori sono continuamente condivisi con Menotti che però insiste; “Lobo, sei il mio capitano e voglio che sia tu ad alzare al cielo la Coppa”. Ma Carrascosa ormai ha preso la sua decisione ed è dapprima sorpreso e poi deluso nel constatare che Menotti, così strenuo oppositore di questo regime, alla fine decida non solo di rimanere al suo posto di Direttore Tecnico della Nazionale ma che finisca addirittura per diventare anche lui “manipolato” e “usato” dalla propaganda dei Generali.

    Carrascosa rifiuta la convocazione. Daniel Passarella diventerà il capitano della Nazionale e sarà lui a ricevere la Coppa dalle mani di Videla mentre tanti giovani sono in quei giorni torturati e uccisi, mentre le madri di Plaza de Mayo continuano a camminare silenziose cercando notizie dei proprio figli … e mentre la “macchina del calcio” continua imperterrita ad andare avanti con la connivenza più o meno consapevole (molto più che meno …) di tutti i media occidentali.

    Ma anche vedere Passarella alzare la Coppa quando avrebbe potuto essere lui a farlo non crea alcun tipo di rimpianto a Jorge. La sua decisione non ha mai vacillato, neanche negli anni successivi dove su di lui se ne sono dette di tutti i colori, infamandolo e colpendolo pur di far apparire la sua coraggiosissima e coerente decisione come il frutto di un “colpo di testa” di un mezzo matto. Si disse anche che l’unico motivo per cui giocava in Nazionale era per la sua amicizia con Menotti…

    Quel calcio, quel mondo, gli stava stretto. Lui che in allenamento era felice di misurarsi con “El Loco” Houseman, felice di raccontare che era “lieto” di non dover giocare contro una peste del genere ma di averlo come compagno di squadra, felice di poter dire che con le sue scarse doti tecniche aveva comunque vinto due campionati con due diverse squadre, felice che il suo nome sarebbe stato accostato in eterno al meraviglioso Huracan di Menotti e a compagni di squadra del talento di Houseman, Babington, Brindisi, Avallay o Basile.

    Sparita questa felicità il calcio, per Jorge “El Lobo” Carrascosa con aveva più senso.

    ANEDDOTI E CURIOSITA’
    Menotti ci provò fino all’ultimo a convincere El Lobo a partecipare ai Mondiali del 1978. Lo chiamò anche il giorno prima di dirimere la lista dei convocati. “Questa mia decisione viene da anni di riflessioni, non la cambio certo in un giorno” gli rispose El Lobo.
    “E’ vero che il calcio non è più quello di quando iniziai da ragazzo. Ma purtroppo neanche la vita è più così. Come puoi sentirti bene se mentre mangi un panino con il prosciutto crudo viene un bimbo a chiederti qualche pesos perché ha fame ?”
    Parlando della corruzione nel calcio argentino 
    “Secondo voi è bello vincere qualcosa perché sai che l’arbitro ti ha regalato un calcio di rigore ? “Si può veramente festeggiare per una vittoria ottenuta con l’inganno ?”
    “Non solo non ho giocato i Mondiali del 1978 ma non avrei neppure giocato quelli del 1982, mentre l’Argentina era in guerra con l’Inghilterra per le Malvinas. Posso pensare di giocare a calcio mentre ho un parente, un amico, un vicino di casa che stanno morendo su un campo di battaglia ?”
    La sua filosofia nel calcio
    “Ma perché bisogna vincere SEMPRE ? Perché viviamo in un mondo dove uno vale per quello che vince o guadagna e non per quello che è ?”
    “La cosa più bella che è stata scritta su di me come calciatore è che sono “un giocatore di squadra” e i paragoni con Javier Zanetti quelli che mi riempiono più di orgoglio, per lo sportivo e soprattutto per lo spessore umano”
    E infine sulla sua famosa scelta “Fu un atto di coscienza. L’uomo conta più dello sportivo anche se devo ammettere che non avevo idea dei rischi che potevo correre. Ma fu una decisione spontanea e per me del tutto naturale. Della quale non mi sono mai pentito.”

    Nelle purtroppo scarsissime immagini in rete sul “Lobo” due brevi profili sul “suo” Huracan, quello bellissimo e vincente del 1973.

    (Remo Gandolfi è anche su www.storiemaledette.com)
     

     

    Le storie maledette di Remo Gandolfi ora sono anche in libreria. 

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