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  • Salernitana, Cala: Ecco chi è il nuovo numero 1

    Salernitana, Cala: Ecco chi è il nuovo numero 1

    Che era nato nel paese sbagliato, Joseph Cala, al secolo Giuseppe Calà, originario di San Cataldo, l’aveva capito fin da ragazzino. “Vedevo troppa ignoranza intorno a me”, rammenta oggi nella tipica parlata “bruccolina”. Non capiva perché in Sicilia tutto era “difficile”: avere l’acqua dai rubinetti, un certificato, il lavoro che dovrebbe essere una cosa normale... “E poi non capivo perché la gente andava appresso ai politici, alla raccomandazione per lavorare… Troppa ignoranza”.

    Già a nove anni, come ricorda lui stesso, meditava di scappar via da San Cataldo, dove era nato. In casa, la mesata del padre operaio, a stento bastava a non far mancare il necessario agli altri cinque fratelli. Chi poteva assecondare la grande smania di evasione del piccolo Giuseppe? Che già a nove anni, pianifica la sua vita: mettere da parte un gruzzoletto e poi scappare via. A New York.


    A mettergli in testa l’America, fu don Totò Nuovo, il barista del corso principale a San Cataldo, dove Giuseppe si “impiegò” come cameriere. “A dieci anni, ama raccontare, sapevo fare tutto: il caffè espresso, i gelati, la pizza…”. Una bravissima persona, don Totò.

    Che lo trattava proprio come un figlio. Anche lui era stato in America, a New York: aveva fatto fortuna con la pizzeria ed era anche diventato un famoso cantante, conteso dalle Tv newyorkesi. “Mentre a San Cataldo lo disprezzavano”, chiosa Joseph Cala. Don Totò gli diceva sempre di aver fatto un grosso sbaglio a ritornare in Sicilia, per assecondare la nostalgia della moglie sancataldese.

    “Vattene da questa terra amara. Qui vivono solo gli zeri!” mi ripeteva in continuazione. Ed anche i suoi clienti, lui i chiamava così: zeri, inutili. Che viveva in un paese da “terzo mondo” rammenta oggi Joseph - lo capiva ogni volta che arrivavano le comitive italo - americani.

    Loro, non chiedevano mai, come i sancataldesi, prima di ordinare; quanto costa? Ed oltre a non badare ai prezzi, gli lasciavano sempre buone mance. Tanto che in quattro anni, nel suo libretto al portatore, aveva racimolato due milioni e mezzo. Che nel ‘73 erano soldi. E fu in quell’anno, a soli tredici anni, che tagliò la corda.

    Lasciò San Cataldo in una prima mattina d’estate. Con l’autobus della Alavit fino a Caltanissetta, e poi in autostop anche oltre lo Stretto. Ai suoi, per tranquillizzarli, raccontò che andava a Taormina. Mentre agli amici che ridevano e lo sfottevano con quello zaino sulle spalle, preannunciò: “Vado a Parigi e dopo a New York. Aspettatemi quando ritorno tra vent’anni”. E così fu. A Parigi, l’aiutò anche la fortuna: grazie ad un equivoco - gli avevano detto di ritornare, ma lui capì che l’avevano ingaggiato - andò a finire, come aiutante cameriere, da Chez Maxim, il miglior ristorante del mondo. Dove era di casa gente come Onassis, Rockefeller, Agnelli, Sophia Loren e Carlo Ponti.

    Da Maxim, seicento posti coperti ed un fatturato a nove zeri, la “Mecca Gastronomica” dei ricchi e famosi del globo, Joseph Cala ci resta tre anni: il tempo di imparare a far bene le salse, conoscere la gastronomia, ma anche apprendere l’abc del management. Anche se il suo sogno, la terra promessa restava sempre l’America.

    Tentò di arrivarci la prima volta, nel ‘74, ancora quattordicenne, con un volo Parigi-New York. Ma quando rivelò che voleva restarci per sempre, i poliziotti lo rimandarono in Francia. Due anni dopo, ritentò. Ma stavolta, si fece furbo: “Partii con un biglietto Parigi-Toronto via New York. Ed alla polizia dissi che restavo a New York solo un paio d’ore”.

    Gli andò bene. Anziché proseguire il volo per il Canada, andò da tutt’altra parte: a San Francisco in California. Comincia così, a sedici anni, l’avventura americana di Giuseppe Calà negli States. Pochi conoscono forse la vera storia del Paperone siculo-americano, oggi quarantenne (nel 2000) ed ultramiliardario, che sognava da ragazzino l’America.

    E che ha fatto fortuna negli States gestendo e realizzando Grand Hotels di lusso tra Los Angeles, San Francisco, New York, le Hawaii e Bahamas. “In America era un’altra cosa”, rammenta Joseph spaparazzato sotto un gazebo di contrada Bisiti Spia, ospite dell’amico e compaesano Cataldo Riggi, titolare del “Molino S.Giuseppe” alle porte del capoluogo.

    “Era tutto facile: due ore per avere la patente che costa diecimila lire. Vuoi una macchina? Con cento mila lire, la trovi nuova. Il problema, in America, non è trovare il lavoro: ma quale lavoro. Le opportunità sono infinite”. Adesso, a quarant’anni, Joseph Cala, è tornato di nuovo in Sicilia.

    Ma da Paperone e con i dollari in tasca. Sta battendo in lungo ed in largo l’isola, percombinare affari, comprare società ed espandere quel suo piccolo “impero” personale: la Cca, la Cala Corporation America.

    La Company statunitense con tanto di sito su Internet (www.calacorporation.com), una capacità di spesa di cinquemila miliardi, e società sparse in tutto il globo con azioni quotate a Wall Streat, la Borsa di New York. E’ un uomo d’affari sempre in movimento, oggi mister Joseph Cala, trascorre il tempo a spostarsi da una parte all’altra del mondo: Honululu, Tokio, San Francisco, Sudamerica. Ed ultimamente, ha aggiunto pure la Sicilia: a San Cataldo, il paese d’origine per stare un po’ in famiglia con genitori e fratelli, e soprattutto Catania.

    Dove nei giorni scorsi, dopo quattro mesi di trattative con gli emissari del ministero dell’industria ed il prefetto Santoro, ha messo a segno il primo affare della stagione: l’acquisto dell’ex azienda Costanzo, seicento dipendenti e commesse nel settore della costruzioni.

    “Sono però abbastanza lenti” si lascia sfuggire Joseph”. E’ un mese che sono qui. E sono stanco. Perché non è solo il tempo che si perde - ragiona il Paperone siculo americano - ma le opportunità che uno perde altrove!”.

    Per combattere la piaga della disoccupazione alla radice, Joseph Cala, la sua brava ricetta, made in Usa ce l’avrebbe: concentrarsi come fanno le company d’oltre oceano, solamente su una città: farla più grande e più bella. La città ideale, lui l’ha trovata: il capoluogo etneo. Catania, come Las Vegas.

    Che da sobborgo di sessantamila anime, è diventata una metropoli di due milioni di abitanti - chiosa mister Cala - non certo per i Casinò”. La città del Mongibello, alla stregua di Los Angeles. Il sogno di Joseph, è di cambiare completamente il volto del capoluogo etneo in dieci anni. Di farla davvero “nuova” la Milano del sud. Si comincia, impiantando sott’acqua il primo albergo sottomarino del mondo.

    Un monoblocco al settanta per cento in vetro e ferro, realizzato nei cantieri navali americani con l’87% dei finanziamenti del governo Usa, che è stato ultimato alla fine del 2002. Il primo albergo al 95% sotto il mare, ha 250 camere, l’Acqua Park, ed un piccolo centro commerciale di fronte, spiega Joseph Cala. Sarà trasbordato via nave, ed immerso sott’acqua davanti al porto. “Due anni fa - spiega il titolare della Cca - abbiamo ottenuto l’autorizzazione della Capitaneria.

    Si tratta di una struttura - assicura - che non comporta alcun impatto ambientale: sott’acqua, diventerà come un corallo e intorno ci nuoteranno i pesci!” Il manufatto, si impianta al massimo in un paio di giorni. Nessun problema, insomma. Tutto facile: l’unico grattacapo, se il monoblocco viene realizzato nella costa occidentale degli States, sarà semmai l’attraversamento del canale panamense. Dettagli.

    A mettere a “bagnomaria” gli alberghi, Joseph Cala ci ha già provato: ne ha realizzati un paio alle Hawai, il Grand Wailea ed il Maui, ed un altro alle Bahamas, l’Atlantis. Tutti e tre sott’acqua solamente per il 15%. Undici milioni di turisti all’anno - calcola il titolare della Cala Corporation che arrivano da tutto il mondo.

    All’Atlantis, tremila camere, costato cinquemila miliardi, hanno costruito un tunnel tra due rocche, a trenta metri sotto il mare: “dove nuotano pescecani, delfini, squali, balene. Un sogno! Chi arriva, laggiù non vuole più uscire”. Quei tre “sogni” ultimamente, li ha comprati una compagnia alberghiera sudafricana. “Nel futuro, sono due i posti in cui il turismo andrà forte: lo spazio e sotto il mare” commenta serafico Joseph Cala.

    “Nello spazio, ancora non posso. Sotto il mare, invece…” Alberghi sott’acqua, la Cala Corporation, ne ha in programma una quarantina. Che andranno tutti a finire - costo cadauno 200 miliardi - dentro i mari e gli oceani di tutto il mondo: Bahamas, Hawaii, Bermuda. L’albergo sott’acqua, ma anche il più grande Centro Congressi del mondo, sogna mister Calà per Catania.

    Un’altra città megagalattica, con 33 grattacieli per gli uffici, 150 mila camere d’albergo, un mega centro commerciale di 500 mila metri quadrati, alberghi grandiosi, tre campi da Golf, con duemila case intorno, ed altri duecentomila, trecentomila appartamenti. “Il comune - chiosa Joseph Cala - deve investire solo nel centro congressi e basta. Il resto saranno tutti soldi privati. Nostri e delle altre compagnie.

    Il sindaco Scapagnini? E’ molto felice. Mi ha fatto un’ottima impressione. Veniva spesso anche nei miei ristoranti, quando insegnava all’università di San Francisco”. Per realizzare la “Catania due”, dovrebbero essere impiegate le maestranze dell’ex colosso Costanzo, adesso passate alla Cca. Che nei prossimi anni - preannuncia Cala - assumerà altri 4400 lavoratori”. Se la città di Catania accetta la mia proposta - è sicuro mister Cala - la Sicilia, risolverà il problema della disoccupazione.

    La ricetta è “semplice” ovviamente: per lo sviluppo dell’economia di un paese, bisogna ospitare i grandi congressi. Tutto qui. Per Catania, Joseph Cala, prevede in dieci anni, un milione e mezzo di nuovi posti di lavoro. Adesso dal Comune e dal sindaco Scapagnini, Mister Cala, attende solo l’okay per l’approvazione del piano di sviluppo. “Abbiamo bisogno solamente di mille ettari!” dice. “E poi, bum: faremo tanti grattacieli come a Las Vegas, Los Angeles.

    Catania è bellissima. C’è l’Etna, il mare. Non è grigia come Amburgo, Francoforte o Milano. A Roma, Venezia e Firenze - ragiona il titolare della Cca - non vogliono sentirne di ospitare congressi. Catania è il posto ideale! Se costruisci il più grande Centro Congressi del mondo - sogna il Paperone siculo americano - poi, tutti i grandi alberghi arrivano. Perché i soldi agli alberghi, non li portano certo il sole e la spiaggia. Ma i grandi congressi. E’ già accaduto così a Las Vegas, Los Angeles…”.


     


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