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  • Inter, Jovetic: 'Non ho chiamato Ljajic'

    Inter, Jovetic: 'Non ho chiamato Ljajic'

    "Ho chiesto io il numero 10, lo porterò in Champions League". Stevan Jovetic si prende l'Inter. L'attaccante nerazzurro ha dichiarato in un'intervista alla Gazzetta dello Sport: "Estate 2007, a Bolzano giochiamo un'amichevole estiva, Inter-Partizan. Era luglio, avevo già la fascia di capitano nonostante dovessi ancora compiere i 18 anni. Dall’altra parte c’erano Stankovic, Balotelli e Ibra, che segnò il gol dell'1-0. Io presi un palo, il giorno dopo mi dissero che l’Inter si era interessata a me". 

    INTER-CITY - "Nel giorno in cui seppi dell’esclusione da parte di Manuel Pellegrini dalla lista Champions decisi di andare via dal City. Non voglio fare alcuna polemica, ma la Champions voglio prendermela qui, sicuro. I miei genitori verranno al derby di settembre. Il primo gol in Serie A lo feci all’Atalanta con la maglia della Fiorentina su rigore, vincemmo 2-1. E l’altra sera, ancora ai bergamaschi. Effettivamente è una bella coincidenza considerando anche quell’amichevole contro l’Inter di Mancini di otto anni fa. Un’emozione simile la provai a Firenze: gol allo Sporting Lisbona che ci portò dai Preliminari di Champions ai gironi. Comunque: gioia pazzesca, fare gol così, a un minuto dalla fine e al mio debutto nel nostro stadio. La cosa che più mi è rimasta impressa? Tutti impazziti, io pure, ma soprattutto tutti quei tifosi che sembravano venirmi ad abbracciare, ogni secondo sempre di più. Me li sono quasi visti addosso". 

    NUMERO 10 - "Fatemi dire che è andato via un amico, Mateo (Kovacic, ndr). Bene: nel giorno in cui si ufficializza il suo trasferimento al Real Madrid mi viene in mente di chiedere una cosa che mai e poi mai avrei avuto il coraggio di fare in vita mia. La mia maglia adorata è sempre stata la 8, quella di Mjiatovic e Savicevic quando ero piccolo; oppure la 35 che avevo al Partizan e che ho inizialmente preso qui perché l’altra era occupata. Bene, quel giorno decido di provarci: chiedo al team manager Andrea Romeo, al club manager Stankovic che per me è come un fratello maggiore e a Javier Zanetti se è possibile un cambio di maglia. La 10 è libera, posso averla io? Me l’hanno data: un sogno. Da piccolo sognavo sempre il calcio, intanto schivavo e pregavo. Avevo più o meno una decina di anni e giocavamo per strada a Podgoriça. Poi, ogni giorno e a un certo punto, partiva la sirena: non era il fischio dell’arbitro no, era il segnale dei bombardamenti in corso in Montenegro e anche nella mia città. E allora via, di corsa: ci chiudevamo dentro casa, tutti raccolti e pregavamo. Che le bombe – che poi erano quelle della Nato – non ci prendessero, che non facessero gol. Diciamo che quando cresci in una situazione del genere hai meno paura delle cose, di ogni cosa". 

    ZERO POLEMICHE - "Sono maturato un bel po’ in questi anni, ho dato forza alla mia mentalità, ho imparato tanto dai campioni che ho trovato al City, ho imparato anche dagli errori e dalle cose fatte bene, caratterialmente mi sono scoperto più tranquillo e davanti alla porta più sicuro. E’ vero: anni fa, a Firenze, dissi che sarei dovuto diventare più freddo davanti nelle occasioni da gol. Si cresce, si trova fiducia. Là davanti posso e sono disposto a fare di tutto, ogni ruolo. Se poi mi chiede qual è la mia posizione ideale, bé, è quella con due punte e in cui io sono la seconda con vista-porta, con un compagno vicino insomma. Devo ringraziare i tifosi inglesi, il Manchester City, tutti. Tranne Pellegrini? Ma no, ma no: zero polemiche. Se lo incontro lo saluto, certo, perché anche questa esperienza mi è servita. Perché non giocavo? Non lo so, in fondo non me l’ha mai spiegato. Un giorno andai da lui chiedendogli di farmi giocare 3-4 gare consecutive. Non è successo, amen. Non giocavo nemmeno la partita successiva alla quale avevo segnato, quindi... Ero infortunato? Ecco, chiariamo questa storia. Che non mi fa incazzare né infastidire troppo, ma va chiarita. Ho avuto dei problemi a Manchester, non posso negarlo. Ma non giocavo nemmeno quando stavo bene. Anzi, benissimo. Detto che dovete presentarmi un giocatore che non ha mai avuto infortuni durante l’anno, sembra ormai diventata una moda dire che Jovetic s’infortuna sempre. Se succede, capita come a tutti. Quindi basta con questa storia". 

    MANCIO AL TELEFONO - "Mancini mi voleva anche quando allenava il City. Vero, il mio agente (Ramadani, ndr) mi teneva informato delle cose, procedeva tutto bene ma alla fine restai a Firenze un altro anno, una città che ho sempre amato e che amerò sempre. Quest'anno mi ha chiamato Mancini. Era giugno credo: io ero al mare in Montenegro, lui pure direi. Dopo di lui, mi telefonò Ausilio: entrambi mi spiegarono tutto ciò che avevano in testa, i progetti, per l’Inter e per me. Chiuse le chiamate ci misi un secondo a decidere: l’Inter era roba per me. E in questo momento so di essere nella squadra top della mia carriera, perché non c’è dubbio che sia una delle più forti e importanti d’Europa. A parte quelle voci del 2007, che probabilmente erano più interessamenti che altro, credo che le prime situazioni concrete si siano verificate 2-3 anni fa. Anche ai tempi di Firenze direi. Insomma, dell’Inter ciclicamente ho sentito parlare diverse volte. Non dissi mai che sarei andato sicuro alla Juve, qualche anno fa. E sa perché? Perché avevo voglia di provarmi altrove, perché la decisione era quella di cambiare: e la Premier mi affascinava davvero". 

    CALCIOMERCATO - "Al momento sono al 70-80% di forma fisica. Che è poi la quota-scudetto per l’Inter? Alt, fermi tutti. Quella parola non va pronunciata oltre al fatto che le candidate sono Juve e Roma e poi ci siamo noi, Napoli, Fiorentina, Milan e Lazio. Terzo posto sì, quello si può dire: perché la forza per raggiungerlo l’abbiamo. Alla presentazione ho chiesto altri rinforzi? Sì, è stata una considerazione leggendo i giornali (ride, ndr). Se ho già chiamato il mio amico Ljajic? Ho letto, ma non l’ho chiamato. Perisic? Forte, fortissimo. Comunque rinforzare significa anche far diventare fortissima una squadra che è già forte… Il segreto? Un grande allenatore, che c’è, e la fame: e mi pare che qui ci sia, a vagonate. In chi già c’era e anche nei nuovi, che hanno una gran voglia di fare. Non mi faro ricrescere i boccoloni dei tempi di Firenze, terrò questa capigliatura. Avevo un look devastante. Vidal ha detto che i calciatori costano troppo? Ha ragione, tutto è esagerato, schizzato in alto e in maniera pazza. Una volta costavi in maniera esagerata ma dopo aver vinto scudetti o Champions o mondiali. Non che i giocatori attuali valutati tanto non meritino alte valutazioni, ma si ricorda Zidane? Costò, ma era Zidane e aveva alzato dei trofei… Per qualche ragazzino potrei anche esser un idolo come lo furono per me Sheva, Savicecic e Mjiatovic; ma sostanzialmente sono un ragazzo che se non avesse giocato a calcio ci avrebbe provato con il tennis. Sono un ragazzo fidanzato, che guarda i film di Stallone, di Di Caprio e le serie televisive americane, che gioca spesso alla playstation, che la prima telefonata dopo quel gol all’Atalanta di domenica sera ha chiamato mamma e papà e che ha ancora quella catenina al collo regalatami al battesimo dal mio padrino. La bacio ogni volta che entro in campo, da sempre". 

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