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  • L'Alessandria diventa un esempio: ora basta egoismi, modificate la Coppa Italia
L'Alessandria diventa un esempio: ora basta egoismi, modificate la Coppa Italia

L'Alessandria diventa un esempio: ora basta egoismi, modificate la Coppa Italia

  • Stefano Agresti
Ieri sera, quando Riccardo Bocalon (foto lastampa.it) ha segnato il gol del 2-1 e l’Alessandria è volata in semifinale di Coppa Italia, il magico schermo che ci racconta - istante per istante - quali siano le notizie più lette su Calciomercato.com è impazzito e i valori si sono ribaltati. Il trionfo dei mitici “grigi” con lo Spezia è balzato d’improvviso al primo posto, scavalcando tutti: il discorso segreto di Mancini all’Inter, che abbiamo svelato in anteprima; il trasferimento di Cerci al Genoa; il duello Dybala-Higuain, i fenomeni del nostro campionato; le indiscrezioni sulle trattative in corso. Niente intriga come la semifinale Alessandria-Milan, doppia sfida che si apre la prossima settimana.
 
E’ un segnale che abbiamo colto subito: l’Alessandria a San Siro, benché non ce l’abbia portata Rivera, è una notizia che coinvolge tutti coloro che amano il calcio, perché si tratta di un’impresa storica e perché l’idea di una sfida tra Davide e Golia è sempre affascinante. Ma il nostro calcio, purtroppo, non si gode quasi mai situazioni del genere, schiavo com’è degli egoismi dei grandi club. Già, perché l’interesse suscitato dalla vittoria dei piemontesi, sottolineato anche da quello schermo impazzito nel cuore della nostra redazione, conferma che la formula della Coppa Italia è sbagliata.
 
La Coppa Italia è disegnata per tutelare le formazioni migliori e - di conseguenza - le società più potenti. Le prime otto del precedente campionato di serie A, infatti, entrano in scena solo negli ottavi di finale, quando le squadrette - tipo l’Alessandria - si sono già scannate tra di loro. All'inizio, in pieno agosto, si tuffano nella bagarre 27 club di LegaPro (la nostra vecchia cara serie C) e 9 di serie D, poi tocca a quelli di B, solo al terzo turno si vede qualche formazione di A costretta a scendere in campo (ma si tratta delle ultime arrivate nel campionato precedente, e per di più giocano con le riserve). Non solo: proprio per limitare al massimo le sorprese, quindi per annullare quasi completamente i rischi di eliminazione per le grandi, queste hanno anche il vantaggio di giocare in casa.
 
Insomma: cara squadretta, se proprio vuoi andare un po’ avanti in questa Coppa Italia, prima devi battere tutte le tue pari categoria, poi bisogna che cominci a vincere in trasferta con chi gioca in B, oppure in A o magari in Champions League. Tutto studiato affinché la Juve e la Roma, l’Inter e il Milan, il Napoli e la Fiorentina o la Lazio arrivino - a meno di cataclismi - a giocarsi semifinali e finale senza nemmeno essersi stancate troppo. Un pateracchio antisportivo, tipico della nostra Lega Calcio.
 
Così hanno ridotto la Coppa Italia a una kermesse semiseria nella quale conta solo la finale, al limite valgono qualcosa le semifinali. Che invidia per la Coppa d’Inghilterra, che vale come la Premier! Che rabbia osservando le imprese di squadre di terza o quarta serie che mettono in crisi e magari eliminano lo United, il Chelsea o l’Arsenal, emozioni che noi nemmeno ci sogniamo.
 
E pensare che, per sistemare tutto, basterebbero un paio di modifiche. Numero uno: far entrare in scena tutte le squadre di A nei primi turni, ad agosto, magari dopo un’iniziale scrematura - molto parziale - delle formazioni di LegaPro e serie D. Numero due: ribaltare il concetto del fattore campo, facendo giocare in casa chi appartiene alla categoria inferiore. In questo modo non vedremmo tristissime immagini di San Siro o dell’Olimpico deserti per una sfida contro un avversario di scarso richiamo, ma obbligheremmo i campioni d’Italia e i loro simili a giocare in stadi di provincia stracolmi di passione.
 
Sarebbe bello, già, ma state tranquilli che non succederà: l’egoismo dei grandi club prevarrà ancora una volta.

 

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