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  •  L’Udinese e il crepuscolo dei Pozzo, ma il Friuli non può restare al buio

    L’Udinese e il crepuscolo dei Pozzo, ma il Friuli non può restare al buio

    • Marco Bernardini
    Nelle città di frontiera il calcio è diverso da quello vissuto altrove. A Trieste, per esempio, riveste un’importanza piuttosto relativa per l’immaginario collettivo popolare malgrado radici solide e importanti come quelle leggendarie legate ai nomi del paròn Rocco o di Cesare Maldini. Le ragioni che hanno provveduto, nel tempo, a intiepidire sempre più una passione peraltro già molto fragile vanno ricercate tra le pieghe della storia di un’umanità locale mai veramente collocata in una posizione ben definita né geograficamente, né politicamente e neppure intellettualmente. I triestini, insomma, sono quelli di Italo Svevo inconsciamente ondivaghi tra il senso di un’italianità acquisita e le tracce di un mitteleuropeismo di antica data asburgica. Non era mi accaduto che il presidente di una società di calcio arrivasse al punto di far ricoprire le tribune dello stadio con grandi teloni sui quali erano stati disegnate le figure di spettatori fantasma. Ebbene, il patron della nobile decaduta Triestina  è arrivato a tanto. La gente, la domenica, preferisce andare in gita oltre il confine con la Slovenia anziché ritrovarsi allo stadio per sostenere una squadra per la quale non prova empatia.

    Diversa ed esattamente opposta la situazione nell’altra città di frontiera che si chiama Udine. Qui il gioco del pallone e la squadra di riferimento per l’intero popolo friulano rappresentano entità talmente serie da essere irrinunciabili. L’Udinese, dalla sua fondazione a oggi, non è mai stata una semplice squadra di calcio per la quale si può provare grande entusiasmo quando vince oppure appena tiepido affetto se le cose non vanno a dovere. L’Udinese si trova costantemente sulla cima dei pensieri di ciascun abitante di una città che, a differenza di Trieste, si sente più italiana degli stessi italiani e che si mantiene a debita distanza ideologica e pratica dagli austriaci i quali si trovano a pochi chilometri di distanza oltre il confine dopo Tarvisio. Non si può fare a meno di amare Udine, con i sui angli preziosi e segreti, ed è impossibile non rispettare la sua gente tanto ospitale quanto saggiamente silenziosa. Così come tutta la sua grande provincia i cui simboli di un’umanità positiva non a caso, sotto la vice del calcio, sono Enzo Bearzot e Dino Zoff. In buona sostanza l’Udinese, per ciò che rappresenta anche oltre gli stretti confini del pallone, va difesa e preservata in quanto patrimonio culturale.


    Oggi, dopo anni di presenza molto più che dignitosa al tavolo delle società che contano, per la squadra friulana le cose non sembrano filare nel modo giusto né per i risultati fin qui ottenuti e né soprattutto per le prospettive a breve-medio termine nonostante l’allontanamento del tecnico Iachini che alla resa dei conti potrebbe rivelarsi come a solita e inutile soluzione di facciata per non dover ammettere che il peccato capitale sta a monte del problema. Giampaolo Pozzo è ormai molto anziano e per la sua squadra del cuore italiano ne ha fatte e viste di tutti i colori. Suo figlio Gino vive da dieci anni a Barcellona e, malgrado l’affetto e a buona volontà, in può fare dell’Udinese il suo pensiero primario. Tant’è, per la prima volta dopo trent’anni di saggia e di avveniristica gestione la famiglia che aveva salvato la società friulana dal fallimento sotto la guida di Mazza e di Dal Cin sembra essere arrivata sulla soglia del crepuscolo in quanto a calo dell’impegno e alla mancanza di idee. Soprattutto loro, le idee. Quelle che, nel corso degli ultimi dieci anni, avevano provveduto a fare dell’Udinese una società modello e guida non solo per il calcio di casa nostra. Dalla compravendita di giovani destinati a diventare campioni, al centro di studi telematico di rilevanza mondiale, lle sperimentazioni di nuove tecnologie fino alla realizzazione del gioiello Dacia Stadium. Ora tutto ciò non può e non deve venir compromesso da un eventuale tramonto. Udine e il Friuli non possono ritrovarsi al buio.

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