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  • La confessione dell'arbitro Orsato: 'Così perseguitavo i calciatori scorretti'. Sul rapporto con Zanetti e Totti...

    La confessione dell'arbitro Orsato: 'Così perseguitavo i calciatori scorretti'. Sul rapporto con Zanetti e Totti...

    L'arbitro Daniele Orsato si confessa in un'intervista esclusiva rilasciata alla Gazzetta dello Sport

    Daniele Orsato, subito al punto, di lei dicono: “Molto bravo, ma pure troppo permaloso”. Esagerano? 
    "Beh, rispondo solo sulla seconda affermazione: c’è della verità. Quando scendo in campo mi trasformo, fino a qualche tempo poteva accadere di “perseguitare” un giocatore colpevole di proteste sguaiate o falli cattivi. E pensare che nella vita di tutti i giorni ho un carattere mite, forse fin troppo buono. Negli ultimi anni per fortuna sono diventato più tollerante. Ogni tanto ci ricasco, allora mi serve una scossa come è accaduto durante una gara di Champions, negli spogliatoi l’assistente Stefani, ora al Mondiale, mi fa: “sei troppo nervoso, rilassati”. Aveva ragione, nella ripresa tutto è andato bene. Ecco, devo ancora migliorare, non solo in questo aspetto. Mai considerarsi arrivato. Come ricorda spesso Pierluigi Collina, la partita più importante è la prossima".

    Orsato, in che senso “perseguitava” un giocatore? 
    “Gli stavo addosso, lo marcavo a uomo. Gli ricordavo per tutta la gara che era a rischio. Non solo, siccome ho buona memoria la cosa continuava anche nelle partite successive. Tipo: “Lei è quello che l’altra volta ha urlato in modo inaccettabile”. Cose simili e…”

    Scusi se la interrompo, dà sempre del “lei” ai calciatori? 
    “Certo, questione di rispetto. Non pretendo che facciano lo stesso. Per me sono uguali, il campione più affermato e l’esordiente. Dare del lei a tutti li mette sullo stesso piano ed è apprezzato.

    Qualcuno le chiede il “tu”? 
    “Le prime volte Totti e De Rossi mi guardavano strano: “Cosa vuol dire ‘sto lei”, facevano. Poi si sono abituati”.

    Stava aggiungendo altro sui giocatori perseguitati? 
    “Sì, andavo in bestia anche quando vedevo in tv un campione che trattava male un arbitro giovane. Aspettavo di dirigerlo e poi glielo facevo pesare. “Provi a comportarsi come ha fatto con il mio collega e non finisce la partita”. Insomma, così era troppo”.

    Quando ha iniziato a cambiare registro? 
    “Negli ultimi anni. Collina mi ha dato fiducia, affidandomi sfide sempre più importanti, lavorando sui miei limiti senza farmi cambiare stile. Perché io non potrò mai avere quello tranquillo di Nicola Rizzoli. Questione di carattere. Ognuno deve restare fedele alle proprie caratteristiche, migliorandosi. Con Braschi è continuato questo percorso. Ora so gestirmi molto di più”.

    Non è da permalosi prendersela per una protesta? 
    “Perché mai deve tollerare uno che mi urla in faccia? Accetto le critiche fatte nel modo giusto. Zanetti era un esempio: “Orsato, ha sbagliato valutazione”, faceva. Rispondevo: “Può essere” anche se in campo un arbitro è sempre convinto di aver visto giusto”.

    È allergico alle critiche? 
    “Solo a quelle strumentali. Purtroppo in Italia spesso si attaccano gli arbitri perché fa comodo e sono un alibi”.

    Cosa risponde a quelli che “non ha visto un fallo da 3 metri”? 
    “Capita spesso coi miei amici, allora prendo un pallone lo metto sulla linea e dico: “Dentro o fuori?”. Esser vicino può penalizzarti. Una volta sono stato giustamente fermato per un rigore non dato alla Samp. In campo nessuno protestò, poi in aeroporto rividi le immagini accanto ai giocatori doriani. Cassano commentò “ma davvero è accaduto questo?”. E io pensavo: “errore bello grosso”. In una gara a Catania fischiai rigore contro l’Inter. Dopo si capì che Castellazzi non aveva toccato l’attaccante. Zanetti e Ranieri dissero: “In diretta l’avremmo dato”. Questa è maturità, ma accade poche volte”.

    Allora perché non mettere la moviola? 
    “Sul ‘gol non gol’ è utile, come si è visto al Mondiale. Ma da arbitro dico che gli addizionali sono fondamentali. Ti coprono le spalle e danno aiuti su molte situazioni. Anche in Brasile avrebbero evitato errori e consentito agli assistenti di concentrarsi sul fuorigioco”.

    Lei perché ha deciso di fare l’arbitro? 
    “Per caso e l’insistenza di un amico. Andai con lui alla sezione di Schio perché era più vicina. Rimasi estasiato: tornai a casa e dissi a mia madre “Entro 16 anni arrivo in A”. Mi prese per un folle. Era il 1992, ho debuttato in A nel 2006”.

    Quanto è stato difficile arbitrare l’ultima finale di Coppa Italia? 
    “Non sapevano nulla degli incidenti. Sono sceso in campo per il riscaldamento e dal maxi schermo ho visto Hamsik che parlava sotto la curva degli ultrà. Ho chiesto che cosa stava accadendo, ci hanno spiegato. Mi ricordo che mi è venuto un forte mal di testa. Che senso aveva quella partita? Poi mi sono chiuso con la mia squadra e ho detto: “Facciamo in modo che nessuno parli di noi”. È andata bene, ma resta il disagio provato”.

    Lei ha due figli, diventeranno arbitri? 
    “Decideranno loro. Mia madre è venuta una sola volta a vedermi, poi sentiti gli insulti ha smesso. Mio padre c’era quando ho esordito in A: piangeva. Ecco, ai giovani colleghi dico: godetevi quei momenti, sono bellissimi e unici”.

     

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