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  • La Juve di Capello giocava peggio della Juve di Allegri

    La Juve di Capello giocava peggio della Juve di Allegri

    • Luca Borioni
    Si parla tanto del gioco o non gioco della Juventus di Allegri. Se ne parlava già prima della battuta di arresto di Genova (oltre al non gioco, in quel caso, anche tre reti subite) e se ne parla ancora nonostante il primo posto in campionato a +4 e quello in Champions che vale la qualificazione anticipata agli ottavi. Le critiche estetiche quest’anno sono mosse al tecnico toscano in misura maggiore che in passato probabilmente perché dal mercato estivo sono arrivati innesti di valore in ogni reparto (da Higuain a Pjanic a Benatia…) e, complessivamente, il livello tecnico del gruppo, pur rimasto orfano di Pogba, è salito in misura notevole assieme alla aspettative dei tifosi.

    Ora la situazione è paradossale: le avversarie latitano, i risultati non mancano, ma c’è sempre chi profetizza imminenti sventure ai bianconeri, sulla base di un presunto rendimento non all’altezza. Allegri divide il popolo juventino. E in questo contesto si moltiplicano i paragoni con il passato. Perché forse era meglio chi c’era prima, o chissà cosa avrebbe fatto un altro allenatore con questo potenziale a disposizione. Più forte questa Juve o quelle del passato? In particolare, si trovano affinità con una squadra bianconera tra le altre, quella allenata da Fabio Capello alla vigilia di calciopoli, in due stagioni di continue dimostrazioni di forza quasi arrogante, tanto da provocare poi la grande inquisizione dell’estate 2006 e il verdetto finale di colpevolezza. Capello ha detto di riconoscersi in Allegri. Stesso approccio pragmatico, stessa lucida capacità di anteporre il risultato a ogni altra speculazione.

    “Che cos’è poi il bel gioco, segnare con quattro passaggi o con dieci?” domanda ironico Capello. Anche quella del 2004-2006 era una Juventus solida e poco propensa allo spettacolo. Vinceva spesso di misura. Un gol di scarto e via, lasciando alle rivali rimpianti e rabbia. Forse era proprio quel margine ridotto a dare spazio anche alle polemiche e alle accuse, ai complotti legati ai supposti favoreggiamenti degli arbitri. Perché poi, in definitiva, quella Juve non regalava nulla, né un bel gioco da ammirare e neppure troppe speranze alle squadre che si trovava a incontrare.

    Il gruppo di Capello poteva contare ieri come oggi su Buffon in porta, poi su portenti del calibro di Emerson, Ibrahimovic (agli inizi), Del Piero, Nedved, Trezeguet, Thuram e Cannavaro, in un gruppo dove i “comprimari” si chiamavano comunque Pessotto, Camoranesi o Zalayeta. Ora Allegri, oltre a Buffon, può rispondere con gente come (in ordine di paragone con i predecessori) Pjanic, Higuain, Marchisio, Dybala, Mandzukic, Bonucci e Barzagli (al momento out). Con il contorno di “seconde linee” come Benatia, Cuadrado e Pjaca. Difficile scegliere tra uno e l’altro gruppo. Quello di Capello, alla luce della storia già trascorsa, vanta credenziali maggiori, ma quello attuale è potenzialmente altrettanto forte. Forse con un distinguo: laddove c’era (dalla stagione 2005-2006) anche un certo Vieira, oggi ad Allegri manca un tale Pogba.

    Ma il gioco? Non si venga a dire che con Capello la Juve giocava meglio. Anzi. Ricordo personalmente di aver seguito quella squadra in una trasferta a Treviso, contro avversari a pezzi, destinati alla retrocessione. La Juve era reduce dallo 0-2 di Londra contro l’Arsenal negli ottavi di Champions. In Veneto scese in campo senza forze, passeggiando (la famosa intensità che ogni volta Capello ci spiega non appartenere al nostro calcio) e giocando insomma un allarmante calcio mediocre (finì 0-0) nonostante i tanti campioni. E poi nel ritorno casalingo di Champions non riuscì ad andare oltre a un nuovo 0-0 con l’Arsenal, uscendo così dall’Europa (come l'anno prima con il Liverpool). Il momento forse peggiore di quella Juve, senza risultati e senza nessuna idea, se non quelle legate al difensivismo spinto e all’esaltazione saltuaria dei singoli talenti. Offuscati quelli, addio risultati.

    Allegri è altrettanto legato al modello italianista. Bada al risultato e alla gestione dello stesso durante la partita, a costo di rinunciare all’iniziativa quando le circostanze lo consigliano. Insomma si regola a seconda delle situazioni. Con il fine ultimo dei punti da conquistare. Ma questa Juve, rispetto a quella che fu di Capello, deve ancora dimostrare tanto. Deve sviluppare trame che ha lasciato intravedere solo nelle primissime partite stagionali quando forse i muscoli erano più brillanti di adesso. Gli infortuni hanno limitato le potenzialità del gruppo: non si è ancora vista la piena operatività della coppia Higuain-Dybala, non si è ancora potuto capire quanto valga Pjaca, non si è visto se non a sprazzi il Benatia più affidabile, mentre Pjanic deve completare il percorso di crescita e adeguamento al nuovo contesto. Insomma questa Juve ha un potenziale da esprimere, l’altra Juve aveva un potenziale compresso. Senza contare che sono cambiati gli scenari. Allora forse c’erano rivali più agguerrite, oggi il quadro è più sereno visto dalla prospettiva di Allegri. Anche se, come ha detto lo stesso Capello, gira e rigira ha sempre ragione Boniperti: vincere è l’unica cosa che conta. 
     

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