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  • La più bella delle corse a due e quel che possiamo imparare dal caso Udinese

    La più bella delle corse a due e quel che possiamo imparare dal caso Udinese

    L’inseguitore e l’inseguito cominciano a farci il callo, come avessero capito che insieme funzionano meglio, che l’uno senza l’altro sarebbe smarrito. Nella testa dell’inseguito c’è la speranza che chi sta dietro si stanchi e desista, fiaccato da una serie infinita di vittorie senza sofferenza, di continue dimostrazioni di forza tranquilla. La Juventus ha una sua peculiare solennità nella vittoria, come se ci fosse un galateo dei risultati che le impedisce di perdere, di non competere. I più inclini alla retorica del calcio scritto parlano di una squadra che ha la vittoria nel DNA, che è un luogo comune trito e abusato ma che nel caso della Juventus è ancora credibile. Solo che l’inseguitore è sempre lì, il Napoli magari si agita più del dovuto, magari spreca energie ma non sente la fatica, come in una magia bianca corre a testa bassa, senza curarsi del distacco che non diminuisce. Così improbabile che l’inseguito cominci a vacillare e conceda terreno? Ecco lo scenario in cui sperano i tifosi del Napoli e tutta quell’Italia del pallone che si è abituata a tifare contro la Juventus, logorata da quattro campionati senza competizione. Potrebbe finire così e sarebbe un caso eccezionale, con un cedimento psicologico della Juventus che al momento sembra molto poco probabile. Anche perché bisogna fare i conti con la testa dell’inseguitore, che nonostante il massimo sforzo, nonostante un campionato memorabile è sempre lì, a distanza di sicurezza. Il Napoli accelera, strappa, gonfia i muscoli e mette la freccia, ma nulla. Quando succede così in genere chi sta dietro perde fiducia e concede all’altro l’allungo fatale, quello del quinto scudetto consecutivo e di un record antico uguagliato.

    Due finali possibili, due squadre che hanno trasformato questo campionato in una competizione formidabile, una gara al rilancio come non ne vedevamo da tempo. Juventus e Napoli si giocano lo scudetto in una volata in cui più che la qualità eccellente del gioco di entrambe a contare saranno i nervi saldi, la serenità del gruppo. Dei gruppi, che sono in mano a due toscani molto diversi tra loro ma eccezionali entrambi. Le nevrosi, la conoscenza del gioco e la poca abitudine a vincere di Sarri contro la consapevolezza e la grande padronanza dei media di Allegri, il quale ha per inciso fatto la più bella, divertente e sincera conferenza stampa che si ricordi a memoria di allenatore, ammettendo candidamente che tutte le pose da guru e santoni di alcuni sono solo terribili scemenze e che nel calcio dall’abolizione del passaggio al portiere in poi nessuno ha più inventato nulla. Che fosse un messaggio a Guardiola, a Conte o a una scuola di pensiero radicale e un po’ arrogante non è dato saperlo, ma bravo Allegri che ha chiamato sia la cioccolata che quell’altra cosa proprio con il loro nome. E di nuovo bravi entrambi, che hanno restituito credibilità a un campionato convalescente ma che resta infinitamente migliore, per esempio, di quella Ligue 1 che il PSG vince a troppe giornate dalla fine e che che festeggia dopo un 9 a 0 fuori casa che sa più di dilettantismo del contesto tutto che non di trionfo della squadra campione.

    I tifosi dell’Udinese hanno fischiato e insultato la squadra, che a fine partita si è avvicinata alla Curva come per scusarsi, anzi, proprio per scusarsi di un’annata in cui a pesare è più la mediocrità del gruppo che non la mancanza di risultati. Solo che accogliere gli insulti senza reagire è sempre complicato e così qualche giocatore, Danilo in testa, ha mostrato tutto il suo disappunto e il nervosismo per una contestazione a suo giudizio troppo violenta. S’apra il dibattito: fino a che punto si può spingere l’area di influenza e azione degli ultras, fino a quale limite è ammissibile e tollerabile l’invasione degli spazi di libertà personale e professionale dei giocatori, degli allenatori e dei dirigenti? Mica facile rispondere con obiettività, dare una risposta diversa da quelle tutte sdegno e buonsenso che tanto piacciono a moralisti e a quelli che il calcio lo seguono a distanza.

    Partiamo dall’ovvio: tutti i comportamenti violenti sono da condannare. Ovvio e sacrosanto, perché al di là del confronto tribale e della passione per lo scontro che anima i gruppi di tifosi (che sia ribellismo giovanile o solo nichilismo è affar loro, purché succeda lontano dagli stadi), quel che accade in campo e i protagonisti del gioco non possono in alcun modo né devono sentirsi in pericolo, sentire una pressione diversa da quella della società e del proprio senso di responsabilità. Solo che le curve non sono un blob informe e senza sfumature, ci sono persone e attitudini diversissime e all’interno di una rivendicazione ci sono modi e strumenti lontani anni luce gli uni dagli altri.

    Oggi è tutto un fiorire di immagini di Genoa-Siena (con i giocatori invitati a togliersi le maglie e giudicati indegni di indossarle), di video dell’aggressione dei tifosi del Foggia al pullman della squadra e di tante altre occasioni in cui pochi e determinatissimi soggetti hanno catechizzato giocatori e allenatori, costretti a subire la gogna pubblica nel silenzio delle autorità e delle forze dell’ordine. Chi sono e cosa rappresentano i tifosi e i tifosi organizzati nel calcio moderno? A modo loro sono azionisti, rappresentano una fortissima quota dell’azionariato emotivo delle società. Una squadra di calcio è a tutti gli effetti di chi ne possiede il controllo ma allo stesso tempo è patrimonio di chi la tifa, di chi la segue ed è per questo che nonostante infiniti tentativi di normalizzazione del calcio resterà sempre attuale l’equivoco delle aspettative e del controllo, l’equivoco dei referenti e del giudizio.

    Se è gravissimo pensare a giovani calciatori brutalizzati da delinquenti comuni, minacciati quando non colpiti, ricattati con il pretesto dello scarso impegno in campo, altrettanto grave è constatare quanto molte società e moltissimi calciatori con quegli stessi delinquenti comuni abbiano consuetudine quando non vera e propria amicizia, quanto non li utilizzino spesso per bassa manovalanza e lavori sporchi, quanto quella sparuta ma pericolosa minoranza sia nota alle forze dell’ordine e nonostante questo molto attiva. Ecco che allora diventa difficile giudicare in modo univoco quegli episodi, che spesso, troppo spesso sono il risultato di rapporti impostati su una connivenza pericolosa e che creano zone grigie difficili da gestire. Gli atleti e i dirigenti dovrebbero aver chiaro il discrimine e dovrebbero molto professionalmente tenersi a distanza dalle aree meno limpide del tifo. Gli ultras, che della parte di colore del calcio sono tuttora elemento fondamentale, dovrebbero avere coscienza del loro ruolo, che non è quello dei protagonisti quanto invece dei non protagonisti utili e folkloristici ma non necessari, come tutti gli azionisti emotivi, come tutti gli innamorati.

    C’è un video molto singolare che alcune testate hanno presentato con titoli drammatici, è il discorso di un ultras della Sampdoria alla squadra e lo trovate qui. Il protagonista chiede alla squadra impegno e dice che lui, che loro ci saranno sempre, che non vuole né saprebbe motivarli, quindi li incita a vincere per i motivi più disparati, per quelli che loro stessi ritengono validi (un selfie su facebook, le donne, quel che vogliono loro), ma li prega di farlo. Di vincere. Certo il contesto non aiuta, c’è silenzio e c’è tensione e magari quel messaggio ne segue altri, più minacciosi, ma quel che succede lì, la dinamica di quei due minuti scarsi è molto chiara e c’è una distanza evidente, una corretta ripartizione dei ruoli.
    I tifosi possono fischiare, possono contestare, possono disertare lo stadio.
    Non possono processare i giocatori, non possono minacciarli, non devono sfiorarli, altrimenti viene meno la natura stessa del gioco,
    altrimenti crolla l’impalcatura fragile che separa il calcio dal caos.

    I giocatori giocano, i dirigenti scelgono, i giornalisti scrivono e commentano e i tifosi cantano, tifano o contestano. Così il calcio funziona, così deve funzionare.
    Quando i giocatori escono con i tifosi, i giornalisti prendono denaro e consegne dai dirigenti e i tifosi processano i giocatori il calcio si inceppa e a perdere siamo tutti.
    Usiamo un po’ di equilibrio per continuare a divertirci, sempre che questo sia ancora divertimento.

    @micheledalai

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