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La Repubblica fa un'inchiesta sulle tifoserie organizzate: l'internazionale ultrà fa paura all'Europa, politica nel pallone

La Repubblica fa un'inchiesta sulle tifoserie organizzate: l'internazionale ultrà fa paura all'Europa, politica nel pallone

L’internazionale ultras fa paura. Neri con i neri, rossi con i rossi, tutti contro gli sbirri, seguendo vecchi patti non scritti. Le polizie di tutta Europa sono in allarme e guardano verso l’Italia con apprensione. Perché il crocevia di questo traffico di guerriglia che si muove attorno al calcio è qui. A Roma, a Milano, a Bergamo, a Catania, sugli spalti e nelle strade, negli autogrill e nei parcheggi, nei centri urbani e nelle piccole periferie. Persino nei cortei di protesta. È qui che da tutto il continente convergono, all’occasione, come rispondendo a un richiamo preciso, centianaia di professionisti dello scontro, armati di mazze e tirapugni, carichi della ben nota retorica della curva, stavolta venata di un tocco di internazionalismo. Accade dunque che il gruppo “Grobarj” del Partizan Belgrado mandi i suoi picchiatori alle trasferte del Milan, pronti a combattere con i “fratelli” della “Curva Sud” contro gli juventini, o a devastare un’area di servizio. Che al Bentegodi di Verona vengano issate bandiere naziste, portate in omaggio dagli spagnoli “Ultras Sur” del Real Madrid. E che al Dall'Ara a Bologna si affaccino invece quelli del “Bochum”, di sinistra estrema come i “Freak Boys” rossoblù che li ospitano. Ognuno schierato sotto la bandiera della propria squadra, tutti pronti, lame in tasca, ad accendere la miccia del disordine. La violenza da stadio è tornata a essere un’emergenza, stando agli ultimi rapporti dell’Ucigos (Ufficio centrale per le investigazioni generali e per le operazioni speciali). Anche, o forse soprattutto, a causa degli stranieri infiltrati. 

Il salto di qualità - È successo così, senza che nessuno se ne accorgesse, negli ultimi due anni. Mentre il calcio si dibatteva tra impianti vuoti e regole sportive e penali sempre più astruse e inconcludenti (daspo, tessera del tifoso, “discriminazione territoriale”), il tifo violento made in Italy ha fatto il salto di qualità, si è riorganizzato pensando in grande, parlando in inglese, spostandosi con le compagnie aeree low cost, utilizzando i social network. Oggi, di fatto, il nostro paese è il centro strategico di una sorta di internazionale europea del tifo: ci sono 88 gruppi italiani che hanno stretto legami con ultras di tutto il continente, 33 dei quali sono politicizzati. Loro vengono da noi, i nostri vanno da loro. 

Gemellaggi tra le curve sono sempre esistiti. Di recente, ad esempio, in occasione della sfida contro la Fiorentina, i “Viking” della Juventus hanno festeggiato allo Stadium i 25 anni di fratellanza coni tifosi dell’Ado Den Haag. La differenza – e il fenomeno è talmente fresco che le statistiche sono ancora scarne - è che questi gemellaggi hanno subito una mutazione genetica e da motivo di scambio culturale (per quanto atipico) hanno assunto un connotato "operativo", criminale, fondato sul presupposto che le misure di prevenzione dei vari paesi, come in Italia il Daspo, all'estero non valgono.

Ogni settimana le informative delle “Squadre tifoserie” delle Digos locali raccontano pezzi di questo risiko: 6 ottobre 2012, in Modena-Cesena “tra quelli della 'Curva Sud' modenese alcuni tifosi del sodalizio di sinistra 'Biris Norte' del Siviglia”; 20 ottobre 2012, durante Sporting Gijon-Almerìa “identificati supporter italiani del gruppo di estrema destra 'Sempre al Bar' del Monza”; 12 gennaio 2013, durante Nottingham Forest-Peterborough United “presenza di 12 ultras del Cesena tra gli ospiti”; 13 gennaio 2013, durante Bologna-Chievo “venti supporter del Bochum nel settore occupato dal gruppo di sinistra 'Forever Ultras'”; 2 febbraio 2013, Torino-Sampdoria, “identificati 43 tifosi delle 'Brigade Sud Nice'”; 24 marzo 2013, Verona-Crotone, “presenza consistente di supporter greco-ciprioti dell'Apoel Nicosia, nonché tifosi inglesi, tedeschi, austriaci”; 6 aprile 2013, Livorno-Ascoli, “venti sostenitori dell'Aek di Atene notati in curva nord”; 7 aprile 2013, derby Roma-Lazio, “nove ungheresi, tra cui alcuni aderenti al gruppo radicale 'Hatvannegy Varmegye Ifjusagi Mozgalom', mescolati con i laziali”; 22 aprile 2013, rissa tra juventini e milanisti in un autogrill di Novara, “tra i rossoneri c'erano tifosi del Partizan Belgrado”. 

Fascisti e comunisti - Quella tra i gruppi milanisti “Curva Sud” ed “Estremi rimedi e Vecchie Maniere” e i nazionalisti serbi è un'allenza strutturata, che va ben oltre il tradizionale gemellaggio. Il loro modello di solidarietà è condiviso da moltissime altre tifoserie in giro per l’Italia. A fare da volano per le “unioni” è, spesso, la comune inclinazione politica dei raggruppamenti. A Roma, sponda laziale, il gruppo “In basso a destra” si è segnalato come “particolarmente attivo” nella costruzione della propria rete internazionale, con alleanze ritenute pericolose con gruppi di estrema destra del West Ham, Werder Brema, Lipsia, Chelsea, Espanol e Real Madrid. A Torino i “Drughi” juventini (protagonisti di una polemica con la vedova Scirea) per il nome della curva dello Stadium) sono legati al Legia Varsavia e, come detto, al Den Haag. Dello stesso colore, il nero, il sodalizio tra la “Curva Sud” del Verona e i tifosi di Paris Saint Germain, West Ham, Mill Wall di Budapest, Chelsea. Non meno attiva l'“internazionale di sinistra”: la curva nord “Livorno 1915”, sulle ceneri delle ex “Brigate autonome livornesi” ha messo in piedi una rete di soccorso rosso con gli ultras di Glasgow, Olympique Marsiglia, Herta Berlino, Aek di Atene. A Terni i “Primidellastrada” hanno contatti con i “fratelli” del Saint Pauli di Amburgo e dell’Innsbruck. Il fenomeno riguarda anche realtà meno presitgiose sul piano calcistico, come Catania dove gli “Irriducibili” sono collegati ai tifosi del Borussia Dortmund, e spesso vanno in trasferta in Germania nelle gare di Coppa. O come Monza, dove il gruppo “Sab, Sempre al Bar” va frequentemente alle partite a Gijon in Spagna. 

Cresce la violenza negli stadi La novità è uno degli argomenti più discussi in questi giorni negli uffici della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, a Roma, dove è operativa la Sezione Tifoserie dell’Ucigos incaricata di sorvegliare e studiare le spesso impercettibili dinamiche dei gruppi più pericolosi. “Il fenomeno è in crescita”, spiega Francesco Iannielli, direttore del Servizio informazioni generali, “e sta assumendo una dimensione preoccupante. I dati che abbiamo dimostrano che gli episodi di violenza stanno aumentando, anche a causa della presenza sempre più frequente di tifosi stranieri estremisti”. Nel girone di andata di questo campionato, infatti, ci sono stati già 102 arresti contro i 65 dello scorso anno. Lo stesso dicasi per le denunce: 782 da settembre a febbraio (tra cui 409 casi di violenza sulle persone), contro le 687 dello stesso periodo del 2013. E i sequestri di bombe carta da 140 sono diventati 213. 

Proselitismo in curvaIl censimento più aggiornato della Polizia conta 398 gruppi ultras, tra Serie A, B e Lega Pro: di questi 74 sono politicizzati, cioè hanno i capi che aderiscono o hanno legami con movimenti politici estremisti, da quelli più conosciuti come Forza Nuova, CasaPound, gli Skinheads, i Carc comunisti, ai filoni minoritari e locali. Quelli di estrema destra sono 45, il restante è di sinistra radicale. Un totale di 8.000 tifosi coinvolti sui 41.000 del popolo degli ultras. C’è anche chi, tra questi, usa le curve per fare proselitismo: distribuendo fanzine di stampo politico, invitando chi sta guardando la partita a partecipare a riunioni dei collettivi, diffondendo ideologie. Lo fanno ad esempio gli “Uber Alles” di Frosinone, la “Curva Furlan” della Triestina, i “Cani sciolti” del Lecco, la “Banda Thèvenot” di Lucca, tutti di matrice filo fascista. Così come, sul versante sinistra, gli “Ingrifati” del Perugia, gli “Sconvolts84” del Pisa, i “Rebel fans” del Cosenza e “Primidellastrada” della Ternana.

Lotta dura, anche senza partite - Ed è forse per questo che in pochi, nelle questure di tutta Italia si sono stupiti nel registrare la presenza di numerosi ultras alle manifestazioni di piazza, quelle politiche. Succede un po’ ovunque. Nelle grandi come nelle piccole città. Ciò che ancora risulta misterioso, però, è il perché. Su questo ci sono solamente ipotesi e ragionamenti deduttivi. Quasi scontato quello sulla partecipazione degli ultras alle manifestazioni contro il progetto del governo di soppressione delle province, tra l’aprile e il novembre del 2012. A Chieti, ad Avellino, a Pisa, a Frosinone e a Crotone. Motivi di campanile, evidentemente, più o meno gli stessi che animano le espressioni più ingenue, e forse meno pericolose, ogni domenica. Meno, molto meno comprensibile è la partecipazione ad altri movimenti di piazza, come quello dei forconi, appoggiato in 15 città anche dagli ultras locali. A Torino, quelli della Juve e del Toro si sono resi protagonisti degli scontri che hanno portato a 39 denunce durante un corteo. Non si sa se sono stati chiamati dai forconi o se hanno partecipato autonomamente. “Sono come compagnie di ventura”, sintetizza Francesco Iannielli, “gli ultras, quando decidono di agire in gruppo, portano la loro carica di violenza e ribellismo. Sanno come ci si scontra con la polizia, hanno affinato le tecniche”. Insomma, utili a tutti quelli che vogliono scatenare tafferugli. E ora, ci sono anche gli ultras stranieri da affrontare. 

Lo stagno avvelenato - Gli stadi, le loro curve e quel fenomeno che per convenzione linguistica definiamo “ultras” sono per esperienza un microcosmo tra i più fedeli ed esatti nel testimoniare un tempo, un luogo, una cultura popolare che si è fatta maggioritaria. E il rapporto di cui Repubblica dà conto in questa inchiesta ne è una conferma. L’Internazionale del tifo organizzato e violento ha un colore sempre più nero. La sua dimensione si è liberata di uno specifico domestico. Lo “spettacolo” si è fatto globale negli interpreti che danno calci ad un pallone e “globale” è diventata la dimensione dei mazzieri che, insieme, lo tengono in ostaggio e lo utilizzano come palcoscenico. 


Gli 88 gruppi e i loro legami censiti dalla Polizia di prevenzione definiscono uno stagno velenoso che appare impossibile da prosciugare, quasi fosse un dazio necessario da pagare al rito collettivo più amato al mondo. Né più e né meno che una iattura confinata a problema di ordine pubblico e su cui esercitare periodicamente una revisione degli strumenti di legge nel Paese con più leggi al mondo (Daspo, tessere del tifoso, discriminazione territoriale). La verità, quella che si fa fatica a pronunciare e dunque regolarmente si elide nel discorso pubblico, è che lo stadio e dunque l’appendice violenta del suo spettacolo è da sempre, e continua ad essere, il luogo dell’irresponsabilità e del consenso facile. 

La Politica e con lei la Lega Calcio (la Confindustria del pallone) e la giustizia sportiva sono oggi lo specchio di una fragilità arcaica incapace di misurarsi con la modernità e complessità del business. Di fronte alla constatazione elementare che nessuna attività di impresa tollererebbe di essere ostaggio di qualche migliaio di individui, dei loro burattinai (per altro per lo più noti da anni agli archivi di polizia), si obietta che nessuna altra attività di impresa è mossa da passione irrazionale come il calcio. Un riflesso pavloviano utile a non assumere di fatto nessun rischio nell’aggredire la questione, a ridurla a faccenda di “poche mele marce” (e dunque residuale), fino al punto di sostenere che l’unico rimedio ragionevole sia non parlarne. Secondo il principio che esiste solo ciò che si vuol vedere. 

Il punto è che l’Internazionale del tifo ultras ha compreso e conosce perfettamente la fragilità del Sistema. E’ consapevole della propria forza di ricatto. Cinquanta, cento mazzieri possono in ogni momento sfigurare uno spettacolo in diretta e porre le condizioni perché lo stadio si svuoti nei suoi settori per qualche settimana. E non per disaffezione, ma per le sanzioni della giustizia sportiva. Un tempo, l’ultras estorceva biglietti gratis per le trasferte o il monopolio di fatto sul merchandising. Oggi, più semplicemente, chiede la propria impunità, per avere la sua parte nello spettacolo in diretta. Una parte fatta non necessariamente di coreografie. Ma di minacce, parole d’ordine che diventino senso comune, cultura politica. 
Con un’ulteriore garanzia. Che se le cose si dovessero mettere male, politica e opinione pubblica verranno eventualmente in soccorso (è successo con la trasferta dei tifosi della Lazio a Varsavia, diventata questione diplomatica capace di occupare per settimane l’agenda del nostro governo). Né la modernità degli impianti (pure necessaria e in qualche modo non rinviabile) può diventare la soluzione. Prova ne sia quanto accaduto allo “Juventus stadium” dopo i cori antisemiti durante la recente partita con la Fiorentina. La vedova di Gaetano Scirea cui è intitolata la curva da cui si era levata quella vergogna aveva con coraggio sfidato quell’oltraggio chiedendo di togliere il nome del marito da quel settore dello stadio. La risposta dei “Drughi”, il più importante gruppo ultras della Juventus, è stata lapidaria e sprezzante: «Mariella Cavanna (il cognome da nubile della signora), la Juventus siamo noi». Già, di chi è la Juventus? E come lei, di chi sono le altre 19 squadre di serie A? 
 


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