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  • La sera del 'gran rifiuto' di Falcao: Roma-Liverpool è una ferita aperta

    La sera del 'gran rifiuto' di Falcao: Roma-Liverpool è una ferita aperta

    • Furio Zara
    Guardò i compagni, quando Nils Liedholm cercò il suo sguardo lui abbassò la testa. Sussurrò: «No, non me la sento». E non andò sul dischetto per tirare il rigore. Paulo Roberto Falcao e il Gran Rifiuto, nella notte di Roma-Liverpool: 30 maggio 1984, stadio Olimpico, la Roma muore così, davanti alla propria gente, nella partita attesa da tutta una vita. Falcao veniva da un infortunio, sentì il peso di troppe aspettative. Si rifiutò di tirare, tradì. Se stesso, i suoi compagni. Molti di loro non gliel’hanno ancora perdonata. Ciccio Graziani - che sul dischetto sin presentò e il rigore lo sbagliò - qualche anno fa ha detto: «Falcao quella notte venne meno alle sue responsabilità: i veri campioni non fanno così, non fuggono». Il Divino, il re di Roma. E quella notte di lacrime e preghiere.

    1-1 dopo i tempi regolamentari, gol di Neal, pareggio di Pruzzo - di testa - prima dell’intervallo. Il resto è un lento declinare verso i rigori. Il pallone è bianco, sembra emettere una luce lunare. E’ estate, ma all’Olimpico cala il gelo. Il portiere del Liverpool, Grobbelaar, si prende la scena. Lo fa a modo suo, facendo il pagliaccio. Sfrontato, irriverente: un matto con i guanti. Partono gli inglesi. Nicol sbaglia, Di Bartolomei segna. Roma in vantaggio. Neal segna, tocca a Bruno Conti. Prima di dirigersi verso il proprio destino fa l’occhiolino ai fotografi appostati dietro la porta. Grobbelaar si avvicina alla rete della porta, la prende tra i denti, la stringe, fa finta di morderla. Passerà alla storia come la «Spaghetti’s Legs», più di vent’anni dopo - nel 2005 - la danza verrà replicata da un altro portiere, un comprimario, sempre del Liverpool: Jerzy Dudek, a Istanbul, di fronte c’è il Milan. Si gira, torna sulla linea, ciondola, barcolla, sembra che le gambe non lo reggano. Invece è lui, solo lui, a tenere i fili della Grande Recita.

    Conti sbaglia, alto. Souness segna, gol anche di Righetti. Siamo pari. Rush trasforma. Graziani sul dischetto. Riguardatele, quelle immagini: sembra invecchiato tutto d’un colpo, intristito in un presagio sinistro, ingobbito dal peso di troppa responsabilità. Sbaglia. Il mancino Kennedy ha sul piede sinistro l’occasione di tutta una vita. La Coppa dei Campioni la vince il Liverpool, la squadra che in quegli anni domina in Europa: tra il 1977 e il 1984 ne porta a casa quattro, di Coppe dei Campioni. E’ una dittatura.

    La favola della Roma di Dino Viola - che l’anno prima ha vinto il suo secondo storico scudetto - finisce lì. Liedholm a fine stagione lascia, va al Milan. Falcao ha il ginocchio sinistro malconcio, l’amore con la Roma è ai titoli di coda. Il 2 dicembre del 1984 gioca all’Olimpico contro l’Udinese quella che sarà la sua ultima partita davanti ai tifosi giallorossi. Ma nessuno ancora lo sa. Una settimana dopo a Napoli segna anche un gol, ma esce dal campo infortunato. E’ costretto all’operazione, la stagione è andata, l’amore è finito. Cinque anni di passione, con quel mistero: il Gran Rifiuto nella notte che contava di più. A fine campionato e dopo molte battaglie legali Falcao lascia la Roma. E’ la fine di un’epoca.

    Roma-Liverpool è rimasta fino ad oggi una ferita aperta. Ma il vento del calcio segue sempre il suo giro e ora ha messo di nuovo di fronte - stavolta in semifinale - le protagoniste di quella notte. Quella finale non se n’è mai andata. Dieci anni esatti dopo quella notte - 30 maggio 1994 - Agostino Di Bartolomei si tolse la vita. Un colpo di pistola al cuore, nel silenzio di una mattina luminosa, su una terrazza davanti al mare. Ma questa è tutta un’altra storia.

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