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  • La storia dell'afgana Khalida Popal: 'Dopo anni di umiliazioni verbali e fisiche, ho alzato la voce e ho giocato a calcio'
La storia dell'afgana Khalida Popal: 'Dopo anni di umiliazioni verbali e fisiche, ho alzato la voce e ho giocato a calcio'

La storia dell'afgana Khalida Popal: 'Dopo anni di umiliazioni verbali e fisiche, ho alzato la voce e ho giocato a calcio'

  • Simone Togna
Per la maggior parte delle persone il calcio è “solo” il gioco più bello del mondo, ma per Khalida Popal è molto più che una cosa seria. Ex giocatrice professionista della Nazionale femminile Afgana, la giovane, classe 1987, ha subito nel proprio Paese minacce ed umiliazioni verbali e fisiche solo perché praticava lo sport seguito da miliardi di appassionati in tutto il mondo. La sua maggiore “colpa”? Quella di essere una donna. Ecco l’intervista esclusiva di calciomercato.com alla leader del calcio femminile afgano:

Quando hai iniziato a giocare a calcio?
Nel 2004 a Kabul, prima con i miei fratelli e poi, anche se la professoressa era fortemente contraria, con i compagni di classe. Successivamente nel 2009 tutto è diventato molto più serio e ho iniziato così ad adoperarmi per sviluppare il movimento calcistico femminile il più possibile. Credevo e credo tuttora che questo sport possa essere un potente strumento per unire le persone che vivono in comunità divise e possa perciò portare pace e felicità in Paesi come il mio. Il calcio può davvero trasmettere quella forte spinta per far alzare la voce ai più deboli e raggiungere l'uguaglianza e la parità dei diritti.

Cosa vuol dire giocare a calcio per una donna in una Nazione come l’Afghanistan?
Il mio è un Paese maschilista e le donne sono viste come cittadine di “serie B”, poiché non sono indipendenti e quindi non possono decidere per loro stesse. Ed è proprio per questo che ho deciso di alzare la voce, incoraggiando altre ragazze ad intraprendere la mia stessa strada, affinché si creasse una nuova cultura nel mondo sportivo che mai era esistita. E’ per questo che per me giocare a calcio significa un mondo di felicità, successi, forza e potenza.

Con quale epiteto tu e le altre calciatrici venivate tacciate dagli uomini?
Quando abbiamo iniziato a giocare a calcio in Afghanistan siamo state le prime donne a farlo, quindi abbiamo dovuto affrontare parecchi problemi perché il gioco del pallone era sempre e solo stato associato al genere maschile. Così gli uomini ci chiamavano prostitute ed è anche accaduto che ci lanciassero contro delle pietre. Per noi era impossibile allenarci nei luoghi pubblici perché la gente pensava che il nostro comportamento fosse offensivo verso cultura e religione.  Oggi fortunatamente la situazione è cambiata e le donne posso giocare negli stadi e hanno anche i loro supporters, sia maschili che femminili: in tutto più di 1000 ragazze giocano a calcio nelle diverse province della mia Nazione e abbiamo anche allenatrici ed arbitri.   

Hai temuto di poter essere uccisa?
Sì, ho temuto per la mia vita poiché ho ricevuto tante minacce di morte dalle persone che volevano zittire la mia voce. Ma ho continuato e continuo tuttora a lavorare anche oggi per il bene delle donne. 

Perché sei andata in India prima e ti sei trasferita poi in Danimarca?
Semplicemente perché stata costretta a farlo. Temevo per la mia incolumità e per quella della mia famiglia. 

Adesso che hai smesso di giocare di cosa ti occupi?
Ho appeso le scarpe al chiodo solo come professionista, chiaramente continuo a divertirmi con i miei amici, anche perché la soddisfazione di poter solo scendere in campo e godere del diritto di farlo, mi fa sentire libera. Oggi ho fondato la mia organizzazione, “Girl Power Organization”, con la quale programmo attività ed eventi per immigrati e rifugiati. Sono anche Direttrice di “Goal 2016”, un progetto della Federazione Afgana del calcio femminile e collaboro anche con “Hummel”, lo sponsor tecnico delle maglie della Nazionale. 

Qual è il tuo sogno nel mondo del calcio?
Che le donne possano giocare libere, senza paura o pressioni, come me. E sarebbe bello che un giorno la stessa ammirazione e lo stesso rispetto che hanno i calciatori professionisti venga indirizzato anche verso le giocatrici femmine. Quando secondo te in Afghanistan la situazione cambierà in modo definitivo? Probabilmente servono ancora 30 anni e una nuova generazione per questo. E intanto io lavorerò il più duramente possibile per dare alle donne in giro per il mondo la possibilità di realizzare i propri sogni.

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