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  • La svalutazione del calcio estero

    La svalutazione del calcio estero

    Il Real Madrid non ha speso un euro sul mercato e quello 0, per quanto precario, fa traballare il sistema. La Liga che inizia oggi è in recessione, peggio è indebitata fino alla paralisi: 800 milioni di rosso da ripianare entro il 2020 altrimenti crolla tutto. Si svaluterebbero i diritti, il prodotto, la sfide e per evitare di sparire in Spagna tirano la cinghia. E la fanno scivolare dai 450 milioni spesi nel 2000 agli appena 64 tirati fuori fino a oggi.
    Otto squadre immobili e a parte il Real, che comprerà Modric e probabilmente Maicon, gli altri non intendono investire un centesimo. Non possono. Il Malaga, abbandonato dallo sceicco, è passato dai 58 milioni scuciti l’anno scorso al nulla di adesso e il Barcellona, pure nella lista degli spendaccioni grazie all’acquisto di Jordi Alba per 14 milioni, ha perso il candidato alla presidenza Ferran Soriano, passato in Inghilterra come direttore generale. Lui è l’ultimo colpo del Manchester City e la prima tessera della nuova gerarchia. La Spagna in crisi significa meno giocatori, meno teste pensanti, meno interessi, meno avvoltoi che girano intorno alle poltrone del pallone. Il resto d’Europa, indecisa tra il rigore e lo sballo, ne approfitta. Con discrezione.

    Soriano è un tipo molto chiacchierato, un elegantone a capo di una compagnia fallita, la Spanair. Ha lavorato dietro le quinte del mercato del Barça dal 2003 al 2008 e lo ha trasformato. L’attuale dirigenza blaugrana lo aveva cacciato, lui era pronto a tornare da padrone, poi il tracollo e la corte degli emiri. È emigrato, solo l’inizio di un esodo annunciato. La Liga ha accumulato nomi che bastano per i prossimi tre campionati e oltre agli imminenti arrivi in casa Real va considerato il quasi certo cambio di maglia di Song, destinato al Barcellona. Ma rispetto alle ultime razzie siamo all’austerità. Iniziano ad avere i problemi di cui ha sofferto la Serie A negli ultimi tempi: faticano ad attirare talenti freschi.

    Il Bayern Monaco è pronto a versare 40 milioni nelle casse dell’Athletic Bilbao pur di avere Javi Martinez, un eccesso e un anomalia perché in Germania si sono sempre vantati di non inseguire cartellini al rialzo, di coltivare giovani cresciuti in casa e di mantenere spese e ricavi bilanciati e anzi di occuparsi più di un calcio virtuoso che dell’ossessione dei risultati. La serenità non abita più lì, persino la nazionale dopo la batosta contro l’Italia agli Europei viene ormai criticata apertamente. Il Bayern apre il portafoglio e pesca in Spagna dove sono più sensibili ai soldi. Per questo dare in prestito Kaka è un’ipotesi remota, servono contanti anche ai ricconi di casa Madrid e c’è l’America che lo chiede. Mettersi in coda per la grande svendita.

    La Premier League guarda confusa, loro hanno ancora gente che spende, ma il Manchester City dopo aver rifatto tre o quattro rose si è fermato, l’Arsenal ha dovuto vendere molto, lo United ha dato la zampata finale dopo un’annata al risparmio e i soli costanti in liquidità e sperperi sono quelli del Chelsea. Mai soddisfatti.

    Il modello Spagna disorienta, i due campionati partono in contemporanea e uno avvisa l’altro dei rischi che si corrono a credersi troppo splendidi. Nella classifica dei giocatori più cari di sempre ci sono cinque nomi finiti alla Liga, da Cristiano Ronaldo (94 milioni) a Figo (uno spostamento interno di 60 milioni), dominio spagnolo che con il Clasico moltiplicava introiti e seduceva stelle di ogni Paese, grazie a un sistema fiscale invidiato da tanti e oggi complice del collasso. Non ci sono galattici da inseguire, solo un paio di affari da piazzare dopo mesi di dieta strettissima. L’Europa registra il taglio e oscilla tra sogni proibiti e i conti. Il Fair play finanziario incombe, ma ancor prima c’è l’economia reale che non regge più il calcio visionario. I nuovi poveri, gli ex ricchi, i pochi danarosi che alzano le medie senza stravolgere la tendenza prudente, cambiano i parametri e le gerarchie. E cresce la paura del contagio.

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