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  • La tolleranza zero del Borussia: 3 anni senza stadio per i tifosi omofobi
La tolleranza zero del Borussia: 3 anni senza stadio per i tifosi omofobi

La tolleranza zero del Borussia: 3 anni senza stadio per i tifosi omofobi

L’omofobia non è ospite gradita allo stadio. E’ il messaggio che arriva dalla dirigenza del Borussia Dortmund, la squadra che da due anni primeggia in Bundesliga (la Serie A tedesca) e che ha punito i suoi tifosi tifosi privandoli dell’accesso allo stadio per tre anni. Il motivo? Durante la partita casalinga disputata al Westafalenstadion conto il Werder Brema, i caldissimi fans del Borussia hanno esposto uno striscione in slang tedesco che recitava: “Meglio essere un gruppo critico che leccaculi e omosessuali”. Insomma, ultras che si autoeleggono a critici del sistema calcio e che ne condanno la componente buonista, giudicandola roba da femminucce. Neppure troppo originale come messaggio, viste le caratteristiche fortemente machiste che contraddistinguono il calcio e i tifosi  in ogni posto del globo; eppure l’episodio ha fatto molto rumore, tanto da portare i supporters gialloneri a scusarsi.


Scuse che non sono servite per evitare il pugno duro della società, che prima ha individuato gli ideatori dello striscione e poi ha annunciato i provvedimenti in un comunicato sul sito ufficiale: “Dopo aver parlato con il gruppo ultras autore dello striscione offensivo e omofobo comparso nella tribuna sud – si legge nella nota – il Borussia ha vietato l’ingresso allo stadio per tre anni, il massimo consentito, ai responsabili”. Tolleranza zero nei confronti dei razzisti: questa, dunque, la linea del club campione di Germania, illustrata anche dal direttore generale Hans Joachim Watzke. “Negli incontri con i supporter abbiamo sempre sottolineato che il club promuove i valori di tolleranza, apertura e rispetto” ha detto il dg.

Un ulteriore e importante passo avanti nella lotta all’omofobia dopo quello arrivato qualche settimana fa dall’Inghilterra, dove la federazione aveva sanzionato il giovane italiano Federico Macheda per aver dato dello “stupid gay” a un tifoso su Twitter. Non sono servite le giustificazioni del calciatore, secondo cui si sarebbe trattato di un banale errore di digitazione (avrebbe voluto scrivere a suo dire “stupid guy”), per scongiurare una multa di 15mila sterline.

Sembra più difficile, invece, la lotta all’omofobia nei paesi latini: in Spagna, ad esempio, l’emittente televisiva Telecinco aveva diffuso delle foto in cui l’ex merengues Guti sembrava fosse intento a baciare un uomo. Dimostrare che quell’uomo fosse in realtà la sorella di Guti è servito per condannare Telecinco a un risarcimento di 75 mila euro ma non a fermare i supporters spagnoli, che in ogni stadio accoglievano il calciatore intonando il coro “Guti maricòn”. E il mister del Real, Josè Mourinho, più volte è stato colto dalle telecamere a sfogare il proprio carattere fumantino con frasi offensive nei confronti dei gay.

Anche in Italia l’omofobia sembra trovare terreno fertile, o almeno, per il mondo del calcio la parola omosessualità resta un argomento decisamente tabù. Qualche anno fa la ex signora Fini, Daniela Di Sotto, dichiarò con convinzione che se ci fossero stati calciatori gay non li avrebbero fatti giocare. Mesi fa invece Damiano Tommasi, ex calciatore della Roma e presidente dell’Associazione italiana calciatori, ammetteva che per i calciatori omosessuali fare coming out sarebbe uno sbaglio. Nello stesso periodo, il portiere della nazionale tedesca, Manuel Neuer, si dichiarava pronto ad aiutare giovani calciatori omosessuali a dichiararsi, a liberarsi da un peso, e al suo appello si era unito il centravanti del Bayern Monaco, Mario Gomez. Differenze, quelle tra Italia e Germania, che evidentemente non riguardano solo il rendimento dei titoli di Stato


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