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  • Tifoso vip Sunderland: 'Di Canio e i folletti maligni'

    Tifoso vip Sunderland: 'Di Canio e i folletti maligni'

    Noi del Sunderland e Di Canio: un matrimonio difficile (e non solo per ragioni politiche). La nostra è una città di sinistra, anche se non sempre tollerante. E lui è un allenatore ancora inesperto.
     
    Jonathan Wilson, l'autore di questo articolo, è una delle più importanti firme del «new football writing» inglese. È autore di «La piramide rovesciata», una storia del calcio attraverso i più importanti moduli tattici (edizioni Libreria dello Sport). Nel 2011 ha fondato il trimestrale di calcio «The Blizzard», di cui è anche direttore. Proprio su quella rivista Wilson ha raccontato (partendo dalla morte del padre) del suo tifo per il Sunderland, la squadra della città in cui è nato nel 1976 e alla quale ha dedicato un libro uscito in Inghilterra nel 2008. In occasione del debutto di Di Canio sulla panchina della squadra inglese, sabato pomeriggio, Wilson (che collabora con i quotidiani The Guardian e The Independent, il settimanale «Sports Illustrated» e il mensile «World Soccer») ha scritto per il «Corriere della Sera». 
     
    La mia reazione istintiva quando Di Canio è stato ingaggiato come manager del Sunderland è stata di intontimento. Vedevo lo scoppio dell’incendio e sapevo che non c’era niente da fare per fermarlo. Ho cercato di elaborare una risposta razionale scoprendo di non riuscirvi, in parte per via della mia ignoranza, in parte a causa della rabbia per la miopia e stupidità di altri, e in parte perché sono un tifoso sfegatato: la mia natura, quando si parla del Sunderland, è difensiva, e so che ciò obnubila il mio giudizio. Partiamo dunque dei fatti nudi e crudi: avendo fatto tre punti nelle ultime otto partite, il Sunderland sta precipitando in classifica, verso la retrocessione, che sarebbe ancora più onerosa del solito, visto il nuovo accordo sui diritti televisivi dell’anno prossimo, più remunerativo del 70% rispetto al precedente.
     
    Sabato notte Martin O’Neal, senza il suo solito brio, è stato licenziato come manager, sebbene non fosse stato particolarmente contestato dai tifosi. Di Canio, che aveva guidato lo Swindon dalla League Two alla lotta per la promozione dalla League One, prima di andarsene sbattendo la porta, è stato ingaggiato scatenando furore, in gran parte per un’intervista rilasciata nel 2005, in cui si definiva «un fascista, non un razzista». Il vicepresidente del Sunderland, l’ex ministro degli esteri David Miliband, si è dimesso presumibilmente per principio. È ebreo e perse molti famigliari nell’Olocausto, per cui forse c’è veramente un principio dietro questa scelta. Dato che Miliband sta lasciando il suo incarico di deputato per trasferirsi però a New York, e dato che è il leader di un’élite politica neo-liberale che privilegia l’immagine rispetto alla sostanza, e dato che non ha esitato ad accettare la sponsorizzazione di «Invest in Africa», un’organizzazione no-profit accusata di esistere solo per legittimare socialmente lo sfruttamento del continente da parte della Tullow Oil, è difficile non sorprendersi se la nomina di Di Canio gli abbia semplicemente offerto una scusa conveniente per andarsene. 
     
    Nondimeno, al di là delle ragioni di Miliband, i principi sono importanti. C’è una data, che sancì l’ideologia – se non è, come è, un termine troppo fine – del Sunderland di oggi, ed è il 1° gennaio 1985. Il Sunderland perse 3-1 nel derby contro il Newcastle United, con Peter Beardsley che mise a segno un numero brillante del coniglio fuori dal cappello, facendo espellere Howard Gayle e Gary Bennet. Erano entrambi neri, e furono entrambi provocati dai cori razzisti.
     
    Sunderland è una città di sinistra. Lo è sempre stata (mio nonno fu l’ultimo consigliere conservatore della metà cittadina a sud del fiume Wear, e persino lui parlava come un socialista; suo fratello era Presidente del Congresso nazionale dei sindacati). Era una città industriale orgogliosa, uno dei centri mondiali di cantieristica navale, tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo. Era così socialista che la notte delle elezioni, i collegi elettorali di Sunderland erano invariabilmente i primi a dichiarare, soprattutto perché non dovevano contare scrupolosamente: la vittoria schiacciante dei laburisti è scontata.
     
    Tuttavia, città di sinistra non vuol dire sempre che sia tollerante, ma che il derby del primo dell’anno confermò nella testa dei tifosi del Sunderland che eravamo il club non razzista del Nord-est. Bennet diventò poi una leggenda del club. Non siamo sempre stati perfetti, ma c’è sempre stata una decenza di fondo. Nel 2001, in alcune parti del Lancashire ci furono delle rivolte razziali, in seguito a cui il Fronte nazionale di destra cercò di fomentare il malcontento in altre città post-industriali in declino. Puntarono su Sunderland, in quanto impoverita e popolata da molti emigrati del Bengali – ma i loro agenti hanno finito per essere cacciati dalla città da un gruppo di tifosi diretti allo stadio. Pertanto non è naturale dichiararsi fascista.
     
    L’Associazione dei minatori di Durham, un’istituzione locale influente anche se oggi le miniere sono in gran parte chiuse, ha chiesto di togliere il suo striscione allo Stadium of Light per tutto il mandato di Di Canio. Ma a farmi male è la marmaglia di larghe vedute liberali, che compare così spesso quando si sollevano questioni di razzismo (e in Inghilterra è molto difficile districare il fascismo dal razzismo, per quanto Di Canio ci abbia provato). Troppi giornalisti inseguono storie facili, troppi sbeffeggiatori nelle loro confortevoli case borghesi sono pronti a condannare gli altri per non avere i loro valori liberali, troppi sono pronti a giudicare sulla base di una o due frasi, spesso prese fuori dal contesto. Leggendo l’autobiografia di Di Canio, nessuna delle sue idee sembra particolarmente eccessiva. Ma in Gran Bretagna il termine «fascista», fa scattare un allarme in un modo in cui non scatta come con «comunista».
     
    Il padre di Miliband era comunista, ma sembriamo felici di distinguerlo dallo stalinismo; nessuno pensa che abbia sostenuto gli stermini e i gulag. Ciononostante, in Gran Bretagna «fascismo» significa Hitler. Ma mentre aborrisco la marmaglia – e, in realtà, se parliamo di negare a una persona il diritto di avere un lavoro sulla base del suo credo politico, chi è allora l’autocrate?- non sono sicuro di volerlo difendere particolarmente, soprattutto perché non so cosa pensi Di Canio. Mi piacerebbe sentirlo spiegare, ma l’occasione è passata; l’isteria significa che non avrà mai un giusto ascolto, che non è stato favorito dall’ufficio stampa del Sunderland, notoriamente confusionario.
     
    E poi, ovviamente, c’è l’aspetto calcistico di tutto il business. Quando Niall Quinn all’inizio della stagione 2006 fu per poco tempo sia presidente che manager del Sunderland, disse che il club era assediato da folletti maligni. Se qualcosa avesse potuto andare storto, sarebbe andato storto. L’apatia e la negatività erano diventate parte del Dna. Nel 2001-02 vinsero tre delle loro ultime 19 partite, lasciando presagire un 2002-03 disastroso, in cui fecero un solo punto nella seconda metà della stagione, realizzando un basso punteggio record di 19 punti totali nella Premier League. Nel 2005-06 infransero il record, racimolando 15 punti in tutta la stagione. Nel 2008-09 vinsero una delle loro ultime 13 partite e la stagione successiva inanellarono una serie di 14 partite senza vincere. All’inizio del 2011 fecero un punto in nove partite e la scorsa stagione non vinsero nessuna delle loro ultime otto partite. Quinn, che fu pure presidente, decise che l’unico modo per liberarsi dei folletti maligni fosse di spaventarli, quindi ingaggiò Roy keane.
     
    Fu una grande scommessa, ma funzionò e il Sunderland fu promosso. Da allora, tuttavia, sono tornati i folletti maligni. Sembra che Ellis Short, il proprietario del Sunderland, pensi che Di Canio sia l’uomo giusto per metterli in fuga. Short fece fortuna scommettendo sui fondi hedge, ma questo sembra essere un rischio stupefacente. Di Canio è inesperto. Non ha mai gestito una squadra nella Premier league. Il suo periodo allo Swindon fu così pieno di controversie e rotture, che l’ex direttore generale del club, Nick Watkins, definì il suo stile come di «gestione a colpi di granate a mano». Dietro il tumulto per le idee politiche di Di Canio rimane il fatto che il suo ingaggio rappresenta un ultimo disperato lancio di dadi. 

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